Sai perché fai le cose?

FabioDeLucaChi sono

Chi mi conosce lo sa, amo il mio lavoro. Mi diverte, mi fa sorridere, a volte mi fa arrabbiare. Mi piacciono  tutti i suoi aspetti. Venderlo, progettarlo, organizzarlo, realizzarlo, tutto il processo. Ogni fase ha il suo fascino. Forse l’unico aspetto che può pesarmi è il continuo viaggiare come una trottola, perché mi manca la famiglia. (Fortunatamente, ho un figlio molto attento alle mie esigenze e proprio prima dell’ultima trasferta mi ha fatto sorridere, dicendomi con tenerezza infinita: “Non ti preoccupare papà, ti chiamo tante volte così ti mancherò un po’ di meno” ).

Ieri, ad esempio, ero con Luca Erba, un collega del mio team connectance, presso l’Ospedale di Garbagnate Milanese per un corso ECM sulla comunicazione medico paziente rivolto a medici di medicina generale. Medico di medicina generale è un termine che non a tutti piace. Alle volte, qualcuno dei partecipanti in aula ci tiene a puntualizzare con forza che il loro vero nome è medici di famiglia. Per alcuni, questa differenza è ininfluente, quasi una sorta di cavillo. Per altri sembrerebbe tutto. Sarebbe bello poter chiedere ai pazienti se vedano delle differenze tra questi due nomi. Personalmente, trovo che medico di famiglia abbia per così dire un tocco emozionale (sapete quanto sono appassionato di emozioni :)). È come se il senso di “Why” di cui parla nei suoi libri Simon Sinek sia già insito in questo nome. Se non ne avete mai sentito parlare Sinek, vi invito a vederlo in azione su TED  http://www.ted.com/talks/simon_sinek_how_great_leaders_inspire_action. Le persone, all’interno del lavoro, delle proprie mansioni, molto spesso, svolgono i compiti, sapendo al 100% cosa devono fare, sanno anche nella maggior parte dei casi, come farle, ma quasi sempre non hanno chiaro il perché. Il “Why”. Il vero motivo per cui tutte azioni che compiono hanno un senso. Qualcuno potrebbe immediatamente dire “Beh, il motivo è che le persone sono pagate per fare”. Voi che ne pensate?

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Credo che dietro a ogni azione, ogni lavoro, esista la possibilità di trovare un significato profondo. Un significato che renda quella attività importante. Non la completiamo perché ci pagano, ma perché sappiamo che possiede un valore, per noi, significativo. Non posso negare che esistano persone che lo fanno perché pagate. Il medico della mutua o il medico di medicina generale può vivere il proprio ruolo anche secondo quest’ottica (ne ho incontrati fortunatamente pochissimi 🙂 ). Il medico di famiglia, invece, ho l’impressione che senta la missione. Vive l’importanza del proprio “Why”. E, per questa ragione, fa sforzi incredibili per fornire il massimo livello di servizio ai propri pazienti, superando in continuazione i propri limiti. Anche in aula, questa differenza si percepisce in modo forte. Chi lo fa per lavoro, e non per vocazione, affronta ogni esercizio in modo seccato e appesantito. Molto spesso, il corso viene organizzato di sabato e la stanchezza della settimana si fa sentire. A volte, per non mettersi in gioco e deresponsabilizzarsi, cercano di ribellarsi con frasi “Alla fine il paziente lo conosciamo e sappiamo come comunicargli, sì magari qualche volta sbagliamo… Ma chi non sbaglia?”. In realtà, sono convinto che non ci credano neppure loro. Fortunatamente, nelle stesse aule, ci sono altre persone che vogliono, invece, coinvolgersi e confrontarsi, non sentono la fatica e provano a sperimentare ogni spunto. Non risparmiano nemmeno un po’ della loro energia. A volte, il loro entusiasmo e la loro voglia di sperimentare riesce addirittura a trascinare i più scettici. È capitato addirittura che i referenti che organizzano questi ECM rimangano stupiti per l’intensità di questi ultimi e si stupiscono del fatto che persone mosse da un profondo “perché” possano essere così trascinatrici e riescano a portare avanti col sorriso le loro attività anche davanti alle difficoltà che oggi affrontano (poco tempo, poche risorse, molta disinformazione …).

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Io mi sento come un medico di famiglia. Sono per così dire un formatore di famiglia. Dove la famiglia è rappresentata dalle persone che vivono nelle organizzazioni che mi chiamano. Ho sentito la vocazione per questo lavoro ed è bello scoprire che chi partecipa a un tuo percorso lo percepisce. Proprio una decina di giorni fa, al termine di un teambuilding realizzato per il lancio di una nuova linea, una persona mi si è avvicinata e sorridendo mi ha detto “Vi ho osservato per tutto l’arco della giornata e non avete avuto alcun cedimento. Stessa intensità ed entusiasmo per tutto il tempo, senza invadenza. Come ci riuscite? Spero che questo dono lo possiate custodire con cura”. Al di là di un semplice “grazie”, non ho avuto la possibilità di dire altro, perché eravamo ai saluti, anche con qualche minuto di ritardo rispetto al pianificato (cosa per me strana :)). “Disegnare percorsi per che diano valore ai talenti nel cambiamento delle persone nelle organizzazioni” è il mio mantra. Ogni persona possiede dei talenti. Ogni talento è un bocciolo che ha la necessità di essere curato. Serve acqua, spazio a sufficienza e nutrimento perché possa liberare la sua bellezza, fiorendo. Il mio lavoro di formatore trovare i percorsi che creino le condizioni per liberare questi potenziali. Quando riesco a essere coerente con il mio “why” non percepisco nessuna fatica, è come se camminassi su una superficie dove non c’è attrito. L’impressione che posso dare a chi mi osserva è di avere batterie infinite. Nella mia esperienza, tutte le persone che trovano il proprio scopo personale e riescono a dare significato alle proprie azioni vivono la stessa magia. Io sogno un mondo in cui tutti abbiano la possibilità e la curiosità di trovarlo e con i miei percorsi spero di contribuire a farlo diventare realtà. Voi che “why” avete? Cosa vi spinge? Cosa vi sostiene nei momenti di difficoltà? Vi piacerebbe contribuire a costruire un mondo ricco di persone guidate da profondi “why”?

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