“A modo tuo”: melodia per un apprendimento duraturo e efficace

A modo tuo2
Stamattina, stavo ascoltando il brano, cantato sia da Elisa sia da Ligabue, “A modo tuo”. Al di là della bellezza (o meno) della musica che accompagna le parole, mi sono soffermato sul significato che il mio cervello dava a queste ultime. Non sono scritte da Bob Dylan, non sono da premio nobel, eppure mentre penetrano nel mio orecchio superando il timpano e arrivando direttamente al centro nervoso che media i nostri stati emotivi, mi lasciano sorprendentemente triste. Non una tristezza disarmante. Uno stato di riflessione, un po’ melancolico, un po’ confuso. L’ho inserita su Youtube diverse volte, ma non mi ero mai soffermato sul perché di questo effetto. Così oggi mi sono messo ad ascoltarla, cercando di assaporare ogni parola e a vedere quali passaggi risuonassero in me, producendo questo stato emozionale. Non so nemmeno se a voi che state leggendo, faccia lo stesso effetto. Nel caso così non fosse, vi invito di entrare nel mio punto di vista di papà, imprenditore, consulente, formatore e coach. Ossia, una persona che spesso è chiamato a rispondere a domande, prendere posizione e infondere senso di sicurezza. Tutto ciò quando i dubbi e le insicurezze mi navigano dentro con venti spesso favorevoli.

coaching pallavolo Fabio e Ilaria 2

La canzone, seppur parlando del rapporto genitori figli, può essere avvicinata a tutti quei ruoli che hanno maggiore facilità di scambio
intergenerazionale. Insegnanti, politici, coach, psicologi, counselor, consulenti, responsabili, leader, preti, … Tutti questi ruoli hanno nel confronto con punti di vista diversi, meno esperti del proprio, il loro luogo d’azione naturale. Non nasciamo “imparati”. La vita ci insegna attraverso tantissime forme di apprendimento, fatte di dure lezioni e di dolci successi, come agire, quale strada prendere. E noi, interpretando ciò che accade attraverso i nostri occhi e quelli delle figure di riferimento prendiamo continue decisioni. Molte idee, molti valori, ci vengono trasmessi senza volerlo. Molti di essi vengono trasmessi attraverso l’esempio. Le persone a volte dicono ai loro figli di non dire alcune parole e a loro volta quando non attenti le dicono. Altre volte, chiedono loro di non avere reazioni che poi loro stessi hanno. Tra parole e azioni vincono queste ultime. Passano purtroppo (o per fortuna a seconda del punto di vista) per osmosi. È per questo che avere dei sani principi ispiratori in testa è importante, ma imparare a metterli in pratica e incarnarli lo è molto di più. Almeno per me. Tornando piacevolmente alla canzone “A modo tuo”, rimango toccato già dalla prima strofa:

Sarà difficile diventar grande

Prima che lo diventi anche tu

Tu che farai tutte quelle domande

Io fingerò di saperne di più

Sarà difficile

Ma sarà come deve essere

Metterò via I giochi

Proverò a crescere

 

Possiamo vederla da genitore. O possiamo vederla da manager di fronte a un nuovo collaboratore. Magari lo abbiamo vissuto anche al contrario. Da figli nei confronti dei nostri genitori (quanti si ricordano l’antico insegnamento di disegnare entro i margini? :)). O da collaboratori nei confronti delle persone che speravamo ci guidassero. Avevamo domande e chi ci poteva rispondere non aveva le risposte o forse, peggio ancora, ci dava le sue senza considerare il nostro essere diversi. La strada dell’”a modo mio” è sempre stata un metodo e per tanti versi ha funzionato. Generazioni sono cresciute a pane e “a modo mio”. Ma siamo certi che i risultati siano così soddisfacenti e duraturi? E soprattutto, siamo certi che non esistano altri metodi da integrare per trasferire competenze?

Sono consapevole che sia complesso insegnare, non perché non siano chiare le regole da trasferire, ma perché le regole hanno bisogno della vita per trasformarsi in azione e la vita non sempre corrisponde alla regola in modo lineare. Chi ha scritto questa canzone, ad esempio, ammette di fingere di saperne di più. Consapevole che sarà come deve essere. Ossia, che l’apprendimento è dell’altro e sarà l’altro a mettere a trovar il proprio equilibrio. La propria strada. La domanda che mi sono posto ascoltandola, e che mi pongo tutti i giorni prima di entrare in un’aula di formazione, è: “Cosa possiamo fare per facilitare la crescita di chi abbiamo di fronte, trasferendo il nostro punto di vista, ma lasciando libero quello dell’altro?”

Nel ritornello della canzone, inoltre troviamo il motivo per cui tutto ciò può avere senso.

A modo tuo

Andrai

A modo tuo

Camminerai e cadrai, ti alzerai

Sempre a modo tuo

A modo tuo

Vedrai

A modo tuo

Dondolerai, salterai, canterai

Sempre a modo tuo

Al di là di quanto possiamo dire, influenzare, manipolare (cosa che non condivido, ma che spesso vedo applicata), la vita ci metterà di fronte alla possibilità di scegliere. E prima o poi le regole apprese non saranno sufficienti per vivere e risolvere ogni situazione. Quindi capiterà che, camminando, nostro figlio, o se vi suona meglio il nostro collaboratore, cadrà e si rialzerà con le sue forze, a modo suo. Cosicché sarà in grado, grazie alle continue esperienze che farà, di imparare a dondolare riuscendo a non cadere, a saltare superando gli ostacoli e a cantare per rendere piacevole il viaggio. Il tutto differenziandosi da noi, sviluppando un sano “a modo suo”.

Articolo A modo tuo

Le aziende fanno fatica a accettare quest’idea. Il bisogno di controllo a volte toglie forza all’idea della responsabilizzazione. Le famiglie vivono lo stesso problema, seppur con motivazioni diverse. Eppure, credo che il miglior regalo che possiamo fare alle persone a cui vogliamo bene e che vogliamo far crescere sia proprio quello di fornire gli strumenti per riflettere, comprendere e investire sullo sviluppo critico di un proprio modo di pensare. Un modo di fare che permetta alla persona, in qualunque ambito, di trovare un proprio equilibrio, una propria capacità di essere resiliente. Ossia capace di rispondere a tutti gli urti che la vita, volente o nolente, ci mette di fronte. Così, sarà possibile che si avveri quel che canta la terza strofa:

Sarà difficile

Lasciarti al mondo

E tenere un pezzetto per me

E nel bel mezzo del

Tuo girotondo

Non poterti proteggere

Sarà difficile

Ma sarà fin troppo semplice

Mentre tu ti giri

E continui a ridere

Infatti, secondo me, quando riusciamo a formare nostro figlio, o qualunque altra persona, incentivandolo a vivere con senso critico, a pensare con la propria testa, a comprendere le emozioni in modo completo, dalla rabbia per un insuccesso, alla tristezza per un’ingiustizia, al disgusto per un comportamento riprovevole, alla sorpresa di fronte a una cosa nuova, alla gioia per un risultato raggiunto alla paura per aver accettato una sfida molto sfidante o di perdere qualcosa di importante, senza giudizio, allora potremo sopportare l’idea di lasciarlo andare per la sua strada, tendendo un pezzetto per noi.  E chissà, magari, sarò anche io in grado di superare quella tristezza melanconica ed essere felice con lui quando si girerà e continuerà a ridere.

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