Potere alle parole: il significato del linguaggio secondo Vera Gheno

Abstract

Vera Gheno, nel suo libro “Potere alle parole”, esplora l’importanza del linguaggio come riflesso dell’identità e strumento di comunicazione. Sottolinea come un vocabolario ampio non solo arricchisca la nostra capacità di espressione emotiva, ma anche la nostra comprensione del mondo e delle persone intorno a noi.

Gheno evidenzia che la lingua evolve continuamente, influenzata dall’uso quotidiano e dai cambiamenti culturali. Pur affrontando la resistenza verso l’uso di termini stranieri, l’autrice promuove un approccio inclusivo e consapevole del linguaggio.

Le parole possono unire o dividere, e il loro uso responsabile è fondamentale per evitare malintesi e conflitti. Infine, Gheno ci ricorda che tutti siamo responsabili della salute della lingua e invita a coltivare il dubbio per crescere e migliorare continuamente le nostre competenze linguistiche.

Il linguaggio come riflesso dell’identità

Oggi, vi porterò con me ne libro di Vera Gheno “Potere alle parole”. Mi piace farlo con tutta una serie di domande che mi sono posto sfogliando le prime pagine del libro. Mi piacerebbe essere nella vostra testa e scoprire che risposte dareste:

  • Perché è importante avere un vocabolario ampio? Poi cosa significa ampio?
  • Tra le competenze di Six Seconds, ampliare il vocabolario emozionale è la prima competenza dell’area della consapevolezza emozionale. Ma è utile solamente nella sfera emozionale o può essere utile in generale anche in altre aree della vita? Che vantaggio ci dà avere più parole per descrivere il mondo?
  • Nel libro di Marshall Rosenberg le parole vengo descritte come finestre oppure muri? Cosa sono per noi? Come le viviamo?
  • Il mondo si sta evolvendo dal punto di vista linguistico o si sta involvendo grazie a una depauperazione della cultura e delle parole che vengono mangiate via dai termini stranieri?
  • Le sfumature semantiche sono importanti o sono solo un vezzo stilistico capriccioso di chi ama danzare con i vocaboli?
  • Vi capita mai di non avere le giuste parole per esprimere un concetto o un’emozione?
  • Quante volte ci capita di non venire capiti anche quando eravamo certi di aver usato i termini più corretti?

Questo libro, in modo semplice, mi ha dato una gentile risposta a tutte queste domande. Ho apprezzato il tono dell’autrice, perché riesce a rendere interessante, divertente, un tema che spesso altera la quiete emotiva dei dialoghi.

Quante volte vediamo su internet, persone che aggrediscono altre persone, perché vengono utilizzati anglismi (come li chiama Vera Gheno al posto di anglicismi o inglesismi) o altre parole di altre lingue quando invece potremmo utilizzare una parola italiana?

Voi che ne pensate? Sareste disposti ad alterarvi nel parlarne? È una questione di sostanza o di principio?

Non sono disposto a litigare per discutere questa tematica, perché non amo in generale alterare il mio stato di quiete. Come formatore, però, mi trovo spesso in aula con tante persone di ogni settore, dal farmaceutico alla distribuzione materiale elettrico, passando per le banche, le assicurazioni e il mondo del Digital Marketing.

Già solo descrivendo i settori eccomi a utilizzare una doppia parola inglese. Tra l’altro, all’interno del settore Digital Marketing ne troviamo tantissime, pensiamo solo a: blog, like, post, share, influencer, fininfluencer, … Qui, infatti, nessuno obietterebbe nulla sull’uso frequente di parole inglesi. Negli altri settori, invece?

Tantissime persone odiano questo “melange”, questo “mix”, insomma questa “macedonia” di parole. Vorrebbero più purismo. E, a quanto pare, vorrebbero che l’Accademia della Crusca si comporti in modo conservativo e blocchi ogni ingerenza esterofila.

All’interno delle mie formazioni, pertanto cerco di evitare quanto più possibile i termini inglesi che sostituiscono troppo facilmente vocaboli italiani. Altre volte li traduco simultaneamente. Altre volte invece li uso e mi prendo qualche “lisciata di capo” da parte di qualcuno particolarmente sensibile all’uso della lingua italiana.

Ora, però, vorrei porvi una domanda: come faccio a capire quale sia la modalità giusta di utilizzare la lingua in aula (la domanda si adatta in tutti i contesti)?

Proviamo a identificare le alternative:

  • Potrei voler utilizzare solo italiano.
  • Potrei utilizzare l’italiano con un inserimento morigerato di parole straniere, basta che le spieghi.
  • Potrei sentirmi libero e fare ciò che credo in quel momento sia frutto del mio istinto di “speaker” (alla fine, se mi viene una parola in un modo, avrò anche diritto a usarla no?).

Come mettere ordine a questa semiosi illimitata di domande e situazioni da affrontare?

Forse, l’ordine ci può veramente arrivare dal libro di Vera Gheno. Riesce a esprimere in modo frizzante tantissimi pensieri e tantissime riflessioni che ci aiutano a dare una forma gestibile a questi temi. Mi è piaciuto molto il suo approccio, perché è riuscita nell’intento di uscire dal dibattito dogmatico.

Non parla di doveri, diritti, obblighi, ma parla di evoluzione della lingua come mezzo per … comunicare ciò che abbiamo dentro e vogliamo venga fuori.  La lingua diventa uno specchio di chi siamo. E per raccontarci abbiamo proprio bisogno di … parole che descrivano come ci sentiamo, cosa pensiamo, cosa percepiamo. Senza parole è dura.

E tutto deve essere fatto consapevoli che di fronte a noi abbiamo una persona diversa che avrà un vocabolario diverso e che non sempre coglierà tutto ciò che vogliamo dire. Mi ricordo ancora la mia prima volta a Roma. Stavo sistemando una tabella di Excel e …

Un collega mi guarda, ride e mi dice: “E quanno affitti?!?”. Da buon Bergamasco l’ho guardato dritto nelle palle degli occhi e ho domandato: “Scusa, ma che cosa devo affittareeee?”. Ora ripensandoci mi faccio una bella risata. Eppure, è un esempio emblematico di “enantiosemia” (parola che assume diversi significati a seconda del contesto in cui viene inserita).

Di solito, si affittano case, oggetti, bici, strumenti, macchine. Ma a Roma, dove probabilmente affittare è percepito come un processo molto lungo, ha assunto un significato differente. Così l’espressione acquisisce il valore di “Quanto ci metti?”.

La lingua italiana, come tutte le lingue “vive” (anche se il libro vi farà scoprire che anche il latino diventa vivo nei documenti del Vaticano per stare al passo con i tempi e con i cambiamenti), evolve, inserendo termini dialettali, stranieri, neologismi, rendendoli normali a certe condizioni.

Ma perché ciò avviene? Perché non c’è lo sforzo di trovare la parola tra quelle che già esistono? Perché ne perdiamo alcune e ne inseriamo altre? Cosa spinge una parola a essere autorizzata a rimanere nel vocabolario e cosa invece la spinge fuori?

Vera Gheno, all’interno della sua opera, ci illumina e ci fa capire come le parole siano davvero vive e come sia compito delle persone quello di coltivarle, nutrirle e farle evolvere. Non è un caso che l’autrice sia una sociolinguista e traduttrice italiana, specializzata in comunicazione digitale e linguaggio inclusivo.

Ci racconta, all’interno del libro “Potere alle parole” proprio il suo punto di vista sul linguaggio, sui suoi scopi e sull’evoluzioni storiche e anche attuali. Anche se per qualcuno quel che sta avvenendo è una involuzione, la posizione di Vera in questa lotta è neutrale.

Per dare ordine al caos, parte dallo scopo di qualunque lingua. Quali sono, secondo voi, gli scopi di una lingua?

La lingua è uno strumento potentissimo che va oltre la semplice comunicazione, è fondamentale per sviluppare la nostra identità personale (in alcuni casi la nostra “nerditudine”), per descrivere la realtà in cui siamo immersi e all’interno della quale ci serve prendere decisioni e per costruire relazioni umane di mutuo rispetto.

La consapevolezza e la cura nell’uso della lingua sono essenziali per mantenere viva e funzionale una lingua in continua evoluzione. E, probabilmente, Vera se ne accorge perché è immersa fina dai suoi primi vagiti all’interno di una famiglia multiculturale. Papà italiano, mamma ungherese, nata a Firenze nel 1975. Fa parte della GenX.

Questo aspetto non viene affrontato nel libro, ma credo faccia parte dell’influenza culturale che Vera riceve. Gli anni in cui sviluppa le sue abilità cognitive, la sua identità, vedono un continuo evolvere degli strumenti con cui guardiamo il mondo.

La posso capire bene, perché ci dividono 2 anni. È nata senza internet, ma ne ha vissuto il suo nascere, crescere, evolversi, fino ad arrivare a essere dappertutto. Internet of Things, or everything o internet of “Thinking”. Alcune persone, all’interno di questa evoluzione o, meglio, confusione, hanno scelto di riportarsi alle regole del passato.

W l’italiano nobile di una volta.

Ma è giusto ragionare in questi termini?

Oggi, con le diverse generazioni a confronto (ci sono aziende che hanno anche 4 generazioni presenti nello stesso spazio di lavoro) possiamo vedere battaglie incredibili. Chi vuole il ritorno al “vero” italiano (quale è poi?), chi vuole la massima libertà espressiva (sì, ma a che costo?).

In mezzo possiamo trovare mille “nuance” o meglio … Sfumature. Chi avrà ragione? Ci sarà qualcuno che avrà davvero ragione?

Per Vera Gheno, non vincerebbe nessuno. Vincerebbe, probabilmente, il “buon” senso. Ossia, il “buon” significato che diamo alla parola lingua e alla sua funzione d’uso: comunicare in modo tale che quel che vogliamo dire venga recepito in modo completo e semanticamente corretto dal nostro interlocutore.

Se riusciamo a farci capire, intanto abbiamo un primo punto a nostro favore. Non trovate che sia un modo semplice per affrontare il tema? La lingua è nata per comprendersi, per cui dovrebbe essere la prima lente attraverso la quale guardare il problema.

Ma capirsi cosa significa?

Perché tante volte non è così semplice capirsi per davvero. Infatti, ci sono diversi livelli di comprensione e, a seconda di quante parole entrambi gli interlocutori posseggono, la stessa comprensione può divenire più completa o più nebulosa. Tante volte capiamo il senso generale della frase, ma … Non la sua totalità, le sue sfumature.

E lì nascono i fraintendimenti. A volte con l’altro, ma a volte anche con noi stessi. Serve avere e … trovare le giuste parole per esprimersi in modo chiaro e coinvolgendo l’altro nel processo di comprensione. La stessa frase detta da persone diverse, in contesti diversi potrebbe essere interpretata in modo totalmente differente.

Incuriosita da questi strani meccanismi interpretativi, Vera Gheno ha iniziato a studiare le parole, trovando la sua missione nella vita. Ha conseguito una laurea e un dottorato in linguistica e ha collaborato per oltre vent’anni con l’Accademia della Crusca, curandone la gestione dei social media, in particolare di Twitter.

È autrice di numerosi libri, tra cui “Potere alle parole”, “Grammamanti” e “Femminili singolari”, nei quali esplora l’importanza della lingua nella formazione dell’identità e nelle dinamiche sociali. Per un amante della lettura è un piacere ascoltarla e scoprire quanto sia vivo il linguaggio.

Ora, è giunto il momento di entrare all’interno del libro e delle considerazioni che può far scaturire.

Potere alle parole: a cosa servono e perché imparare a usarle

Vera Gheno ci racconta fin dall’inizio le tre principali funzioni del linguaggio nella sua storia evolutiva:

  1. Definire sé stessi attraverso le parole
  2. Descrivere il mondo attraverso le parole
  3. Comunicare con gli altri in un mondo complesso

Definire sé stessi attraverso le parole

“Ogni parola che scegliamo e non scegliamo di usare racconta qualcosa di ciò che siamo e non siamo. Abbastanza letteralmente, le parole sono atti di identità.”

Ogni parola scelta o evitata racconta qualcosa di noi, fungendo da atto di identità.

Chi è Fabio veramente?

È sicuramente l’immagine derivante dalla sua capacità di esprimersi attraverso il linguaggio nei vari contesti in cui vive. Fabio non è uguale all’interno di ogni contesto e proietta diverse immagini di sé.

Posso esser papà, formatore, facilitatore, amico, confidente, amante, … a seconda delle persone con cui mi relaziono. Faccio parte, infatti, di diverse comunità e interpreto diversi ruoli. Non faccio l’attore, ma ogni ruolo ha delle regole e per poter essere efficace e non rischiare fraintendimenti devo conoscerle bene.

Infatti, il nostro linguaggio, che va oltre la lingua comunemente parlata in una nazione, può unire e dividere, delineando appartenenze e differenze tra le comunità linguistiche. Come Manzoni affermava, la lingua è una componente fondamentale dell’identità di un popolo, capace di unire in un senso di appartenenza condivisa. O meno.

“Con la parola dichiariamo, ad esempio, di far parte di una certa comunità linguistica e non di un’altra; individuiamo i membri della nostra ‘tribú’ rispetto a tutti gli altri e cosí via.”

Il linguaggio non è solo uno strumento di comunicazione, ma una potente espressione della nostra identità. Vera Gheno esplora come la scelta delle parole riveli chi siamo e come vediamo il mondo. Ciò che è dentro e ciò che fuori. Ciò che è incluso e ciò che è escluso.

La lingua non solo unisce ma anche distingue. Questo concetto è evidente nella storia e nella politica, dove l’identità linguistica spesso gioca un ruolo cruciale nella definizione dei confini culturali e nazionali.

Le parole che utilizziamo quotidianamente riflettono la nostra appartenenza a determinate comunità linguistiche e culturali. Per esempio, l’uso di dialetti o termini specifici di una regione mostra una connessione con quella particolare area e cultura.

Ecco, perché per trasformare la cultura, rendendola più aperta e condivisa, bisogna lavorare sull’ampiezza del linguaggio. Solo un linguaggio ampio e sviluppato può distruggere i confini, a volte invisibili che distinguono le comunità linguistiche e che spesso portano a sentirsi disgiunti dalle comunità che ci vivono intorno.

Non parlo solo di popoli, ma anche di funzioni. Marketing, vendite e finance (come lo tradurreste in italiano?) hanno tre tipologie di linguaggio molto differenti tra loro. Non sono quindi solo famiglie professionali distinte, sono proprio mondi separati che spesso litigano tra loro. La stessa cosa avviene tra campo (persone che lavorano sul territorio) e sede (le persone che lavorano nella sede centrale).

A volte, la situazione è ancora più ingarbugliata. Pensiamo al dibattito politico attorno al nome delle principali cariche dello Stato italiano. Queste distinzioni di carica coinvolgono gruppi di persone fatte di generi diversi che spesso si sentono esclusi proprio per le barriere che anche la lingua e il linguaggio possono generare.

Pensiamo, per esempio, al profondo dibattito che stiamo vedendo prolificare su internet, e non solo relativo ai ruoli delle cariche dello Stato. Presidente è un sostantivo maschile. Per cui nessun problema a eleggere un presidente maschio. Ma se fosse donna?

Nessuno ci aveva mai pensato, perché per anni non abbiamo avuto donne in quel ruolo. Però metti caso che capiti … Come la si dovrebbe chiamare? Ahimè, è capitato ed è iniziato subito il dibattito acceso.

Da vocabolario qualcuno ha scritto Presidentessa. Ma pare che la Presidentessa sia la moglie del Presidente. Quindi, non suona proprio semanticamente uguale. Allora, ci si è accorti (grazie all’Accademia della Crusca) che potevamo cambiare l’articolo e trattare Presidente come il sostantivo ciclista. Si tratta di un sostantivo che può facilmente essere maschile e femminile.

Dipende, quindi, dall’articolo che lo precede. Soluzione che sembra sia stata accettata. Ecco come può evolvere il linguaggio grazie alla dinamica dei cambiamenti che ci possono toccare da vicino. E meno male direi pure. No?

Sempre attraverso le parole di Vera Gheno, scopriamo che “Le lingue che parliamo condizionano il modo stesso in cui vediamo il mondo, e viceversa.” Il linguaggio, infatti, non è solo uno strumento passivo di descrizione, ma un mezzo attivo che modella la nostra percezione della realtà.

Quindi, la battaglia linguistica è sicuramente un atto dovuto. Forse, però, non sufficiente perché si possa creare l’equità dei generi che abbiamo in testa e nel cuore. Serve non solo la parola, ma la parola in azione, in modo che cambi il mondo. Speriamo di aiutare con le parole in azione il nostro futuro, rendendolo più equo.

Descrivere il mondo attraverso le parole

Entrando, ancora più nello specifico del mondo in cui viviamo attraverso le lenti delle nostre parole, dobbiamo ricordare che la capacità umana di nominare le cose è un potere immenso. Gheno sottolinea come il linguaggio influisca sulla nostra percezione della realtà.

Chi vive in contesti specifici sviluppa un linguaggio che riflette quella distinta realtà:

“Dare i nomi alle cose è un compito specificamente umano; ne parla anche la Genesi: Dio […] condusse [gli animali] all’uomo per vedere come li avrebbe chiamati.”

Per esempio, chi vive al mare distingue vari tipi di vento, mentre chi vive lontano dal mare tende a usare termini più generici. Questo esempio dimostra come la lingua che parliamo possa contribuire a modellare il nostro modo di vedere il mondo insieme a tutto il sistema complesso di interazioni culturali, cognitive e sociali.

Uno dei fattori chiave che permette di allargare l’ampiezza del linguaggio è la presenza di sinonimi. Per ogni parola, possiamo avere diversi sinonimi, ossia parole che hanno un significato molto simile anche se leggermente differente.

“Perché esistono i sinonimi? […] Perderemmo molte possibilità espressive: ognuno di noi ha modo di dire con parole sue quello che percepisce della realtà.”

I sinonimi sono quindi molto importanti per la qualità dei messaggi che mandiamo, perché arricchiscono il linguaggio, offrendo modi diversi di descrivere la stessa cosa, e permettendo espressioni uniche e personali. Sono parte della nostra identità di persone. Noi siamo le parole e i sinonimi che utilizziamo. Ma quanti sinonimi riusciamo a possedere?

Comunicare con gli altri in un mondo complesso

Come oramai vi siete sentiti dire in modo martellante in diversi punti di questo articolo, la comunicazione è una necessità umana fondamentale. Ci serve per diversi scopi e senza la possibilità di comunicare molta della nostra vita verrebbe annullata.

Tuttavia, la nostra realtà contemporanea, arricchita dalla presenza di internet e dei social media, rende la comunicazione più complessa e spesso anche conflittuale. Vera Gheno evidenzia come l’uso delle parole giuste sia essenziale per evitare fraintendimenti e conflitti.

Nello specifico, saper comunicare attraverso le giuste parole è ancor più importante quando interagiamo con persone provenienti da contesti diversi dal nostro, dove le espressioni non sono le nostre abituali e dove ogni messaggio può essere pragmaticamente letto in maniera distorta rispetto a quanto volevamo in realtà dire.

“La relazione non è affatto semplice, soprattutto da quando la nostra realtà si è complicata anche a causa dei nuovi canali di comunicazione aperti da internet.”

La comunicazione su internet ha aperto una serie di dinamiche relazionali mai studiate prima del suo avvento. Questo è avvenuto perché sono entrate in contatto persone che in passato non si sarebbero mai incontrate, perché appartenenti a gruppi sociali totalmente diversi e in possesso soprattutto di punti di vista sul mondo molto lontani.

In un mondo interconnesso come questo, dove non sai chi ti trovi di fronte e non hai nemmeno modo di modulare il messaggio che invii con il non verbale dobbiamo riflettere bene sulle parole da utilizzare:

“Usare le parole giuste assume un’importanza ancora maggiore, dato che ognuna di esse può essere fraintesa più facilmente quando l’interlocutore è molto lontano dal nostro mondo e modo di vedere le cose.”

Un altro aspetto particolarmente importante è legato al fattore contesto. In tantissime occasioni, può capitare di trovarsi in imbarazzo per aver detto qualcosa che l’altro non riesce a intendere come vorremmo. A noi è chiaro il messaggio che volevamo mandare. Eppure, qualcosa è andato storto. Mannaggia.

“Quando questo succede, tendiamo tutti a difenderci dicendo ‘ma no, ero ironico/a, non hai capito la battuta…'”

La sensibilità verso le diverse percezioni e contesti culturali è fondamentale. Spesso, ciò che per noi è una battuta innocua può risultare offensiva per altri che non condividono con noi il contesto e la pragmaticità del nostro modo di esprimerci.

Ormai, credo possa essere chiaro quanto sia importante l’idea di essere consapevoli dell’uso delle parole. Si tratta di un segno di rispetto verso gli altri. Vera racconta di una particolare occasione in cui incontra una ragazza afroamericana e le fa un complimento sull’acconciatura.

A sorpresa, però, la ragazza si arrabbia perché dice che l’ha appena offesa in modo razzista. All’inizio Vera si arrabbia e si difende. Poi, indaga sull’accaduto e chiacchierando con persone che lavoravano in ambiente internazionale scopre che i commenti sulle caratteristiche fisiche in alcune culture possono essere considerati razzisti e addirittura xenofobi.

E dire che Vera voleva per davvero farle un complimento …

Come si costruisce la lingua e come evolve

Non poteva mancare un capitolo legato ai meccanismi magistralmente descritti da Vera Gheno, che fanno sì che la lingua evolva e cambi. Sicuramente, abbiamo visto negli anni il prolificare di termini nuovi, alcuni presi da lingue straniere, altri letteralmente inventati.

E, allo stesso tempo, probabilmente vi sarete accorti dello scomparire di alcune parole. Come avviene questo processo?

Questo processo coinvolge diversi fattori chiave:

  • Diffusione e Uso: La parola deve essere ampiamente usata da un numero significativo di persone per un periodo abbastanza lungo. L’uso della parola in contesti naturali è essenziale per la sua adozione.
  • Utilità: La parola deve soddisfare un’esigenza linguistica, ovvero deve servire a descrivere qualcosa che non può essere descritto adeguatamente con termini già esistenti.
  • Accordo della Comunità Linguistica: Per una parola nuova, l’accettazione da parte della comunità linguistica è fondamentale. Deve essere riconosciuta e compresa da una larga parte della popolazione.

Ecco qui alcuni esempi di parole inserite nel vocabolario, perché rispondenti a questi tre fattori chiave (non è detto che però non possano in poco tempo uscirne, ove venisse a mancare anche solo un fattore di quelli sovra citati)

Petaloso: Un caso emblematico è quello dell’aggettivo “petaloso,” inventato da un bambino. Nonostante la parola abbia ottenuto molta attenzione mediatica e simpatia, non è ancora entrata stabilmente nei vocabolari principali perché non viene usata in contesti naturali.

Ecosostenibile: Parola che riflette una crescente sensibilità verso l’ambiente, è entrata nel vocabolario corrente per descrivere pratiche e prodotti che non danneggiano l’ambiente.

Selfie: Questo termine, derivato dall’inglese, è stato rapidamente adottato nella lingua italiana e inserito nei principali vocabolari a causa del suo uso estremamente diffuso.

Le parole possono essere tolte dai vocabolari se cadono in disuso. Questo accade quando non vengono più utilizzate nella comunicazione quotidiana o scritta. Il processo di eliminazione è più lento rispetto all’inserimento, poiché le parole già accettate tendono a rimanere nei vocabolari anche se il loro uso diminuisce.

In sintesi, l’inclusione o la rimozione di una parola dal vocabolario è un processo dinamico che riflette l’evoluzione continua della lingua e il cambiamento delle esigenze comunicative della comunità linguistica. Quindi, l’Accademia della Crusca non è la polizia delle parole.

Per come l’ho capita è una sorta di osservatorio sociolinguistico che monitora le parole che si diffondono e quelle che scompaiono. Non ha potere di selezionare le parole giuste o sbagliate. Forse, per questa ragione, non dovremmo tirarla in mezzo ogni volta che vediamo proliferare parole straniere. Non è lei il responsabile della loro accettazione.

Lingua e dominanza

L’ultimo capitolo, invece, non può che toccare un tema a me molto caro: la relazione tra linguaggio, lingua e potere. Non so quanti lo sappiano ma durante il fascismo ci fu il divieto di utilizzare le parole straniere. Ogni locale che avesse utilizzato una di queste parole straniere sarebbe stato multato.

Eccone alcuni esempi:

  • Bar diventava mescita
  • Barman diventava mescitore
  • Cocktail diventava bevanda arlecchina
  • Film diventava pellicola
  • Jeans diventava calzoni alla marinara
  • Goal diventava rete
  • Autobus diventava filobus
  • Tunnel diventava galleria
  • Meeting diventava adunata

Oggi, fa sorridere, ma negli anni 40 del ‘900, non credo ci fosse molto di allegro. Purtroppo, il potere passa anche per la padronanza del linguaggio. Provate a leggere un documento scritto dal nostro governo e … Converrete con me che nulla di quanto scritto è chiaro e facile da interpretare per una persona comune.

Chi scrive in “codesto” modo normalmente si difende dicendo che è la prassi e la forma comune per questa tipologia di documenti. Per me che osservo e faccio parte del volgo è solamente un modo per creare distanza e far sì che il mondo si divida tra chi è potente e conosce le parole e i linguaggi dei potenti e chi purtroppo non lo è.

Vi siete mai chiesti perché la scuola è l’ultimo posto dove ci siano investimenti?

Da un lato, c’è sicuramente l’impreparazione di chi ci governa a dare forme migliori e più attuali alla formazione scolastica. Ma, a volte, sorge il dubbio che ci sia anche un po’ di premeditazione. Un popolo che perde parole, cultura e riduce il suo linguaggio diventa più controllabile.

“La lingua è potere; la decisione rispetto a quali debbano essere la ‘corretta’ conoscenza e la competenza linguistica di un popolo non può essere lasciata alle sole classi dominanti.”

Nessuno può sapere cosa ci sia nelle intenzioni di chi ci governa, ma sicuramente un modo per evitare di essere totalmente plagiati è quello di investire sulla lettura, sullo sviluppo del linguaggio e sulla capacità critica. Ogni iniziativa in questa direzione è un investimento sulla libertà personale e collettiva.

La parola può diventare il salvagente che ci darà la possibilità di non affogare in un mondo di comunicazioni sempre più confuse e difficili da interpretare in modo corretto.

Conclusione: Il linguaggio come strumento di potere

Mi accingo a chiudere questo incredibile viaggio nel mondo delle parole e della loro forza. Il linguaggio è uno strumento potente che richiede attenzione e rispetto. Vera Gheno invita i lettori a riflettere sulla responsabilità personale, ossia di ciascuno di noi, di proteggere l’uso delle parole.

Ogni comunicatore ha il potere di influenzare il mondo attraverso il linguaggio, e, quindi, è fondamentale usarlo con consapevolezza e cura. Il libro di Vera Gheno è un richiamo alla riflessione sull’importanza di investire sul linguaggio nella nostra vita quotidiana e nelle nostre interazioni sociali.

Comprendere e rispettare il potere delle parole può migliorare la qualità delle nostre comunicazioni e, di conseguenza, la nostra vita sociale. Ciascuno di noi può fare la differenza nella cura e nell’uso della lingua, proteggendo le parole a cui diamo importanza, quelle che per noi hanno davvero valore.

Invece, che arrabbiarsi contro l’uso di parole che non ci piacciono, cerchiamo di focalizzarci sulle parole che vogliamo premiare.

“La lingua, ogni lingua, è di chi la parla; di conseguenza, siamo tutti responsabili del suo stato di salute.”

Questa frase ribadisce che la lingua appartiene a tutti e che ognuno di noi ha un ruolo nel mantenerla vitale e rispettata. Siamo tutti responsabili! Nessuno escluso. E se avete dubbi … Continuate ad averne!

Dubito ergo sum.

Vera Gheno ci invita a mantenere sempre una mentalità aperta e curiosa, accettando che il sapere è un viaggio senza fine, una continua evoluzione.

“Coltiviamo il dubbio fecondo, perché è alla base della possibilità di continuare ad aumentare le proprie competenze e conoscenze.” Solo chi dubita, mostrando uno scetticismo costruttivo, riesce a evolvere in modo sostenibile.

Non so se abbia risposto a tutte le domande che ho inserito all’inizio dell’articolo, ma ove ci fosse qualche informazione mancante potete andarla a ritrovare nel libro “Potere alle parole”. Vale tutto il tempo che ci vorrà.

Chiudo con una frase di Vera Gheno che mi fa sorridere. Si tratta di uno di quei consigli semplici semplici: “Non occorre avere sempre un’opinione su tutto, non occorre riempire ogni vuoto con le parole.”

Quale miglior finale per un articolo sul potere delle parole?

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