Reinventare le organizzazioni: la spinta non troppo gentile del covid19

Reinventare le organizzazioni: la spinta non troppo gentile del covid19

Intestazione reinventare le organizzazioni

Cosa possiamo trattenere dal Covid19? Cosa c’è da salvare nel nostro mondo personale e aziendale?

Cosa si può fare per cambiare radicalmente il proprio modo di agire sia come individui che come organizzazioni?

Quanto è importante sentire di avere una missione da compiere in periodi come quello che stiamo attraversando?

Intro

Siamo alla fine di dicembre 2020. Non siamo ancora usciti dal Covid19. È passato poco meno di un anno da quando ci hanno detto di rimanere a casa per evitare l’espandersi del contagio.

Mi ricordo come fosse ieri il 29 feb 2020. Telefono a mio papà e lo sento affaticato, stanco, con il respiro rotto. Mamma era preoccupata, perché stava in una di quelle situazioni paradossali che piacciono tanto agli studiosi di decision making. Stava in un momento di double binding.

Aveva paura per la sua salute, non stava bene da una settimana, ma l’andamento non era stato lineare. Dopo un po’ di febbre, sembrava ci fosse una lieve ripresa, poi succeduta da un rovinoso peggioramento. Mamma sperava di curarlo a casa, perché aveva paura delle prime notizie dell’evolversi della situazione ospedaliera.

La sua paura era tangibile … Meglio il rischio di un contagio in ospedale o un possibile lento peggioramento in casa?

Difficile rispondere. Sta di fatto che, fortunatamente (col senno di poi) la scelta comune fu di portarlo in ospedale e salvargli probabilmente la vita.

Il Covid19 aveva bussato alla nostra porta di casa, ma ancora non ce ne rendevamo conto. Sembrava ancora una problema esterno. Sembrava un film in TV. Invece, eravamo all’inizio di una rovinosa caduta.

Bergamo 2

Lo strano caso della sanità lombarda

Purtroppo, o per fortuna, è stata una delle prime vittime a Bergamo. La Lombardia stava iniziando un periodo di grande difficoltà sanitaria grazie alle scelte degli ultimi anni di centralizzare la gestione dei pazienti negli ospedali, utile per razionalizzare le spese, efficientare le cure. Purtroppo, con alle porte un’epidemia del genere, questa manovra si è dimostrata una decisione non lungimirante e pericolosa.

Tra l’altro, alla luce dei fatti, poco utile sia in termini economico finanziari sia in termini sociali e di salute dell’intera popolazione lombarda.

Papà è stato curato alla grande, seppur spostato tre volte nel giro di 9 giorni di degenza da un reparto all’altro. Tutti reparti che diventavano Covid all’improvviso, per accogliere i sempre più numerosi pazienti in arrivo da città e provincia.

Incredibile che ce l’abbia fatta a 85 anni (che ha compiuto da solo in ospedale senza che nessuno della famiglia fosse potuto essere presente ☹ e con tutta la famiglia stretta intorno alla speranza che recuperasse).

La sua fortuna, al di là del fisico che ha retto (purtroppo, ho amici che hanno perso uno dei propri genitori a causa di questo brutto virus, dove il fisico magari già debilitato è crollato definitivamente … anche se è passato un po’ di tempo, il mio pensiero va a loro e alla loro sofferenza), è stata la flessibilità del sistema a riorganizzarsi per il bene dei propri pazienti.

Fattore persone sul campo

L’iperspecializzazione, che ha caratterizzato da anni i corsi di medicina, si è dimostrato un fattore negativo. Questo virus ha richiesto una spinta pazzesca a ciascun protagonista della sanità. Équipe che non avevano mai gestito virus si sono dovute preparare “improvvisamente” per gestire pazienti mai curati prima, di cui non gestivano i protocolli di cura.

A tutto ciò si aggiunga un altro aspetto emozionale: molta parte del personale sanitario da anni in attività all’interno di alcuni reparti non aveva mai visto morire così tante persone e così ha dovuto gestire un nuovo tipo contraccolpo psicologico. Nuovo tipo di stress.

Queste squadre di lavoro, completamente destabilizzate, sono state davvero forti nel farlo. Pur trovandosi senza fiato, con la paura di sbagliare, con pazienti sempre più fragili, sono riusciti, nella maggior parte dei casi, a dimostrare il valore di chi la sanità la sceglie per missione e non per la sola idea di portare a casa uno stipendio.

Questo è il bello della nostra sanità. Per quanto criticabile per alcune scelte, dimostra di avere ancora tantissime persone innamorate del proprio mestiere.

Gli operatori sanitari hanno dimostrato di essere molto più capaci di adattarsi alle situazioni rispetto a coloro che dall’alto hanno dovuto prevedere giuste decisioni per il bene della salute di tutti. Pazienti e personale sanitario.

Perché vi ho parlato del Covid e di quanto possiamo imparare da esso?

La risposta a questo quesito è semplice. Il Covid è stato un momento di rottura. Ha portato tante preoccupazioni. Tante morti. Un senso di reclusione contro cui stiamo ancora combattendo.

Per quanto tutto ciò non sia paragonabile a quanto hanno sopportato i nostri antenati durante le guerre, le carestie, il Covid sta avendo conseguenze molto importanti sui nostri comportamenti e minando la nostra stabilità emotiva.

Eppure, il Covid ha portato anche alcune accelerazioni. Ha dimostrato quanto non tutte le strutture pubbliche siano asfittiche, lente e incapaci di reagire con prontezza ai cambiamenti, per esempio. Sanno cambiare velocemente ove ce ne sia necessità.

Poi, quello che è accaduto in quest’anno così strano ha avvalorato un tema molto caro alle aziende TEAL di cui oggi voglio parlarvi. L’amore per la propria missione genera comportamenti virtuosi e successi incredibili anche in situazioni di estremo stress e favorisce la possibilità di un’autoorganizzazione sana.

La sanità ne è stata un esempio, ma … Nel mio piccolo ho potuto osservare un sacco di altre casistiche interessanti. Ci sono molti cambiamenti che possono essere considerati utili. Anche se l’inizio non è stato proprio promettente.

L’inizio dell’era Covid per maieutiké

Il 10 marzo dopo aver ricevuto la bella notizia di papà tornato a casa, ho iniziato ad affrontare un altro problema. Tutte le attività pianificate per il 2020 venivano giorno per giorno cancellate.

Eventi da 100 persone rimandati a data da destinarsi, corsi in presenza cancellati per impossibilità di assembrare in uno stesso spazio fisico normale più di n persone.

Tanta paura che non sapevo come navigare. Come potevo fare a portare avanti l’azienda a queste condizioni? Come potevo affrontare questa situazione?

Non sono abituato a fermarmi e, anche stavolta, nonsono riuscito a fare diversamente. Mi sono organizzato al volo. Ho iniziato a comprare microfoni, luci, green screen (il telo verde che serve per cambiare gli sfondi), un abbonamento a zoom, a polleverywhere, a Mirò

Ogni acquisto, ogni mia mossa automatica, mi sembrava un pugno nello stomaco alla paura. Così, ne ero certo, l’avrei sconfitta. Purtroppo, anche se vi sembrerà un comportamento sano… Non lo era. E lo si potrà comprendere nei prossimi paragrafi.

Non ascoltare le proprie emozioni

Senza accorgermene, ho abbandonato la nave della mia piccola realtà, lasciando l’equipaggio fatto di colleghi che come me stavano provando emozioni durante questo momento di crisi.

Sono entrato da solo in questo mio mondo di autoprotezione, frutto di azioni non intenzionali, ma istintive, solo per lenire la mia ansia e, fregandomene, senza consapevolezza, di chi mi stava intorno.

Lo so che chi mi conosce potrebbe facilmente chiedere “Proprio tu? Proprio tu che tante volte ci hai detto di comunicare, condividere le paure, hai scelto la via del silenzio?”

Sì proprio io. Mi sono trovato solo per mia scelta. Ma… Fortunatamente, i miei colleghi mi hanno risvegliato. Mi hanno detto che il mio silenzio li stava spaventando, che avrebbero preferito sentirmi, ascoltare le mie paure piuttosto che perdere le mie tracce.

Non solo illusioni e autoinganni per difendersi da sé

Inizialmente, ho cercato di difendere la mia scelta di agire per sfuggire alla paura. Non sapevo cos’altro fare. E mi sembrava evidente. Solo che nessuno mi stava accusando per le mie azioni (che poi per caso si sono rivelate giuste), ma per l’assenza di azioni nei loro confronti. Della mia comunicazione verso di loro.

Il non averli portati a bordo e non aver permesso loro di essere d’aiuto era una mia scelta inconsapevole, dovuta alla mia visione del mondo organizzativo. Mi sono sentito Atlante. Ero io a dover trovare la soluzione, perché mi sentivo di essere l’unico ad avere le risorse per farlo.

Invece, come sempre, la vita sa smentirmi in modo davvero eloquente. La loro capacità di parlarmi in modo chiaro, diretto, mi ha acceso una lampadina. In questa barca possiamo davvero remare tutti e fare la differenza dividendoci i compiti e confrontandoci per definire le azioni da mettere in campo.

Così, ognuno ha fatto quel che serviva, in modo responsabile. Abbiamo preso decisioni che non avrei mai potuto prendere da solo. Abbiamo, ad esempio, aperto la procedura di cassa integrazione su loro iniziativa e facendo sì che seguissero direttamente le pratiche.

Abbiamo scelto insieme gli investimenti da fare in modo più mirato e strategico. Abbiamo navigato la paura insieme.

Spettacolare!!!! 😊

La fortuna aiuta gli audaci

Tutt’a un tratto, come nei migliori film della Disney, a fine marzo, due clienti ci hanno chiamano per condividere alcune idee.

Il primo cliente ci chiede di organizzare il loro evento aziendale (più di 160 persone a distanza), cercando di portare buon umore, benessere e qualche spunto emozionale per rendere possibile lavorare anche in un clima surreale come quello che stavamo vivendo.

La seconda azienda ci ha chiamato per chiederci la disponibilità a trasformare le attività pianificate in versione virtuale. Rispondere a queste sfide è stato più semplice avendo l’insieme dei colleghi a bordo.

Nel giro di un mese, tra fine marzo e metà aprile, eravamo pronti ad affrontare la sfida Covid nel lavoro. Un bel risultato, anche se non tutto è stato semplice e veloce (almeno a livello percettivo).

Siamo stati in grado i produrre progetti vincenti, coinvolgenti e utili, anche in modalità virtuale trovando nuove forme di interazione e nuovi approcci educativi. Un bagno di innovazione difficile da credere a gennaio, realizzato con caparbietà a marzo e aprile.

Da lì in avanti le sfide si sono moltiplicate e le qualità del team sia interno che esterno all’azienda hanno cominciato a venir fuori come se fossimo sempre stati presenti nel mondo digitale. Eppure, tutto ciò non era minimamente nei miei piani e nemmeno nelle mie più remote speranze.

Le accelerazioni, apprendimenti accelerati

Ora, come potete immaginare, per quanto il Covid sia qualcosa che vorrei per tanti aspetti dimenticare, vorrei provare a mantenere gli insegnamenti che mi ha dato.

Parlo di tutte quelle accelerazioni improvvise che ho potuto personalmente osservare nella mia realtà e di cui vi ho poc’anzi parlato e in quelle che ho potuto gestire da consulente. Vorrei partire da qui per poi provare a generalizzare.

Tra queste, posso sicuramente, evidenziare una nuova presa di coscienza delle organizzazioni nei confronti delle proprie persone. Da un lato, una nuova fiducia nei loro confronti, figlia dei risultati ottenuti anche a distanza, grazie al lavoro da remotoDall’altro lato, l’importanza strategica di avere leader risonanti capaci, anche senza poter vedere le risorse di dare respiro ai gruppi che lavorano virtualmente, mantenendo alta la loro energia.

Una nuova modalità di lavoro

Questo nuovo modo di lavorare mi ha dato la possibilità di vedere quanto una work life balance sia nelle corde del nostro sistema grazie a questi strumenti, senza andare a penalizzare la produttività che in molti casi è rimasta invariata se non addirittura accresciuta.

Se a tutto ciò, sommiamo il vantaggio in termini di riduzione dell’inquinamento (poche vetture in giro hanno reso verde addirittura la pianura Padana 😊) che si è verificata durante questi mesi, siamo di fronte a un quasi miracolo.

E, questi sono solo alcuni elementi di accelerazione che non sarebbero probabilmente venuti fuori senza questa pandemia.

Ovviamente, come tutti i cambiamenti, anche questo è fatto di luci e di ombre. Prendendo spunto da un libro che ho ripreso in mano durante questa forzata clausura, voglio vedere come tesaurizzare le esperienze vissute.

Sarebbe bello cambiare radicalmente i nostri modi di gestire noi stessi e le organizzazioni, grazie alla spinta di questo brutto male che ci ha colti alla sprovvista… No?

Reinventare le organizzazioni 2

Reinventare le organizzazioni

Non sono un ricercatore, per cui provo solamente a richiamare alcune delle idee contenute nel libro “Reinventare le organizzazioni” di Frederic Laloux (https://www.ibs.it/reinventare-organizzazioni-come-creare-organizzazioni-libro-frederic-laloux/e/9788868961152)

È più di un libro. Si tratta di una prospettiva nuova che potrebbe rivoluzionare il nostro modo di vivere, personale e organizzativo. Un modo di vivere che nel libro viene chiamato Teal.

Per comprendere questo nuovo punto di vista, Laloux comincia analizzando l’evoluzione delle società. La storia delle organizzazioni guida, infatti, tutta la prima parte del libro.

Perché partire dall’evoluzione delle società

Ogni società ha cambiato le proprie abitudini per affrontare le sfide che si trovava di fronte.  Ogni fase evolutiva ha visto la nascita di una nuova fase di consapevolezza, e così una nuova struttura, nuovi modelli organizzativi radicalmente più produttivi.

Le persone hanno dovuto evolvere per rispondere alle mutate esigenze della società, cambiando in modo radicale i propri stili di vita. Alcuni che oggi diamo per scontati non lo sono per nulla.

Ogni modello, però, nel tempo si è rivelato disfunzionale. E oggi, il paradigma che stiamo vivendo, alla luce di quanto sta accadendo nel mondo, messo in evidenza grazie al Covid, non regge più come prima e forse, siamo di fronte all’ennesimo cambio di paradigma.

Le risorse del pianeta si stanno riducendo all’osso. L’inquinamento sta devastando la nostra aria. L’aumentare del benessere economico, non ha aumentato il senso di prosperità e di benessere delle persone.

Non parlo delle persone del terzo mondo. A volte, sorridono più di noi che abbiamo tutto. Parlo proprio di noi che abbiamo raggiunto livelli di qualità della vita all’apparenza incredibili.

In noi, rimane diffuso un senso di inquietudine. Un senso di alienamento che potrebbe stupire. Teal può darci qualche dritta sul perché questo avviene.

Cominciamo dal principio, quali sono le forme di società che nella storia si sono succedute?

Evoluzione delle società

Qui di seguito in modo molto sintetico provo a sintetizzare quel che mi è rimasto del pensiero di Laloux su ciascuna organizzazione da lui studiata.

  • L’Organizzazione Rossa (“branco di lupi”) risalente a circa 10.000 anni fa con la nascita dei primi “proto-imperi” e le prime forme di vita organizzativa, è generata dalla presenza di un capo che con forza prende le redini di un gruppo, grazie all’aiuto dei membri della propria famiglia, che si preoccupano di far lavorare i sottoposti tramite l’esercizio del potere coercitivo.
    Oggi ritroviamo questo tipo di organizzazione nelle fasi iniziali delle aziende padronali e nelle bande di quartiere. Il colore rosso deriva dall’impulsività del capo.
  • L’Organizzazione Ambrata (“l’esercito”) nasce dalla necessità di fare progetti organizzati a lungo termine. Per realizzare questi scopi, necessitano di tante persone che si dividono i compiti con disciplina. Le svolte che le caratterizzano sono la prospettiva di lungo termine, la grande dimensione e la stabilità che riescono a offrire.
    Esempi di questa tipologia di organizzazione sono: la Chiesa, gli Stati, gli Imperi. Tutti luoghi fondati su gerarchie definite, processi strutturati e burocratizzati per tenere tutto sempre sotto controllo. La morale comune unica che rappresenta l’unica verità a cui credere è l’aspetto fondante di questa tipologia di organizzazioni
  • L’Organizzazione Arancione (“la macchina”) nasce dalla necessità di raggiungere risultati. L’efficacia diventa l’unico metro per prendere le decisioni: una migliore comprensione del funzionamento del mondo porta a risultati migliori in termini di produttività e la decisione migliore è quella che genera il ritorno sull’investimento più elevato, raggiungendo così il successo.
    L’approccio arancione prende avvio durante il Rinascimento ed evolve a partire dall’età dell’Illuminismo e della Rivoluzione Industriale, grazie allo sviluppo di nuove e potenti capacità cognitive che riescono a mettere in discussione il modello dell’autorità Ambrata. Ad oggi il paradigma Arancione risulta essere sempre dominante, soprattutto da dopo la fine della Seconda Guerra mondiale.
    Le tre parole chiave insite in questo approccio sono innovazione, responsabilità, meritocrazia. Troviamo esempi, oggi all’interno delle grandi corporations.
  • L’Organizzazione Verde (“gruppo di amici”) apre nuove porte e nuove sensibilità. Le parole chiave di quest’organizzazione sono equità, rispetto, community e armonia. Si vogliono eliminare concetti quali casta, schiavitù, differenze di genere. L’ambiente, e lo star bene iniziano a prendere il sopravvento rispetto al solo ideale di efficienza (organizzazione arancione).
    Dal punto di vista storico, l’organizzazione Verde prende avvio agli inizi del ‘900, da una piccola élite di persone che credono in ideali pluralistici, capaci di influenzare profondamente la cultura occidentale. Esempi di questo approccio sono riscontrabili oggi nel pensiero accademico post-moderno e all’interno del non profit. In questo paradigma, le relazioni sono centrali.
    L’idea di diventare una organizzazionefamiglia” (non nel senso di banda, ma nel senso di luogo dove le relazione possano evolvere per il bene di tutti) prende il posto dell’idea di essere una macchina orientata ai risultati. Le decisioni qui vengono prese partendo dal basso grazie a input e consensi. Il leader si trasforma in servant leader, capace di rinunciare a molto del controllo.
    A fronte di tale nobile approccio, vi sono comunque delle contraddizioni: la tolleranza verso le idee degli altri membri può diventare intolleranza verso altri approcci, considerati non verdi. Il paradigma Verde vorrebbe essere un modello forte per poter cambiare i vecchi paradigmi, ma fa fatica a trovare pratiche alternative reali.
    Diventa più semplice avere questo tipo di approccio nelle organizzazioni “no profit”, ma si sviluppa anche in contesti “for profit”, dove l’empowerment, la cultura basata sui valori e la prospettiva a stakeholder multipli diventano centrali.
  • L’Organizzazione Teal (“l’organismo vivente”), la via organizzativa proposta da Laloux, parte da alcuni principi cardine: le organizzazioni sono in grado di sopravvivere alla gerarchia tramite una sana auto-organizzazione, credono nell’impegno della persona che viene considerata nella sua pienezza,  il proposito vivente, un principio guida presente nelle azioni di tutte le persone dell’azienda, che fa da collante attraverso una cultura aziendale forte.
    Rispetto al paradigma verde, il proposito viene visto come in continuo possibile cambiamento. Nulla è per sempre. Si tratta di una visione, di un why come direbbe Simon Sinek, che diventa “vivente” e guida ogni decisione. Il CEO, in quest’ottica, deve diventare esempio di comportamenti virtuosi legati al presupposto evolutivo.
    La strategia dell’organizzazione deve emergere, così, in modo organico e naturale dal confronto tra le persone appartenenti alle squadre di lavoro. Addirittura, la competizione viene vista come poco rilevante. Si rivedono anche i rapporti con i competitor, che diventano partner nella determinazione di standard di mercato sempre più alti, coerenti con lo scopo comune dell’organizzazione “TEAL”.

Perché TEAL può essere una strada per la nostra trasformazione?

Come descritto all’inizio dell’articolo, il mondo oggi cambia in continuazione. Siamo ancora al centro della grandissima trasformazione dovuta al COVID. Una trasformazione che ha dimostrato di arrivare all’improvviso con impatti devastanti sulle vite private, professionali e aziendali.

Nessuno è rimasto incolume rispetto a questo evento così “extraordinario”. Il mondo oggi è talmente interconnesso che forse per la prima volta mi rendo conto della veridicità della domanda provocatoria: “Il battito di una farfalla in un punto del mondo può provocare un uragano in qualche altra parte del mondo?”

Come reagire meglio

Anche in un momento così duro, dove io in primis ho avuto grandissime difficoltà,  alcune realtà hanno saputo reagire meglio. O hanno in realtà saputo sfruttare la propria capacità di proagire, grazie a modelli di organizzazione meno rigidi e più snelli? Buona parte di queste realtà così capaci di rimanere leggere e in grado di cambiare così velocemente sono proprio aziende considerate TEAL.

In un modello paradigmatico come quello proposto da Laloux, l’organizzazione si dimostra disponibile a rinunciare a guadagni immediati, nel nome di un bene comune e superiore: quello del mondo intero.

Per arrivare a una tipologia di partecipazione così profonda dove sia possibile percepire il bene di una scelta scomoda per sé nel breve periodo e di valore per lo scopo comune di un gruppo, è necessario avere un sistema decisionale differente da quelli tradizionali.

Un caso paradigmatico di questa capacità di scelta è Patagonia. Il proprietario e tutti i dipendenti insieme hanno rinunciato anni fa al cotone tradizionale per passare a quello biologico “solo” in nome della futura riduzione di inquinamento prodotto dallo sfruttamento delle piantagioni di cotone. Poi, il mercato l’ha seguita… Ma la scelta fu fatta rinunciando al profitto per qualcosa di più grande.

Modello decisionale di un’organizzazione TEAL

Il modello decisionale di un’azienda come Patagonia che è stata capace di scelte di lungo periodo davvero fuori dalla norma è frutto di due processi semplici e integrati: “self-organize & adapt”.

Non serve nemmeno più pensare all’empowerment delle persone (come previsto dal modello Verde pluralistico), perché l’auto-organizzazione garantisce auto-sostentamento del livello di empowerment.

La capacità di questo approccio di guardare in modo integrato ai sistemi produce un costante tentativo di muovere i modelli decisionali in base al contesto, partendo dal presupposto che ogni gruppo è in grado di auto prendere decisioni.

Non esiste più la necessità di avere middle manager che facciano da collo di bottiglia decisionale. Ogni persona è accountable per le scelte prese dal team e chi sta direttamente sopra-normalmente il CEO o coordinatore, spesso chiamato coach- è solo a disposizione su richiesta per fornire pareri consultivi e tecniche di facilitazione decisionale.

È interessante comprendere come nessuno di questi interlocutori possa, secondo questo approccio, prendere decisioni al posto del team.

Perché il motivo di un approccio così strettamente bottom up?

Perché oggi il mondo cambia in modo repentino e con esso il mercato. Anzi forse è meglio dire è in eterno cambiamento. Il Covid ne è solo l’esempio più recente e forse più grande. Non si può più organizzare le cose in modo preciso e puntuale e poi realizzarle mantenendo le attività per lunghi periodi.

Dobbiamo continuare a essere recettivi captando i segnali che il mondo ci manda, i micro e macro trend, e agire di conseguenza. Ma qui nasce la domanda che guida la trasformazione verso le organizzazioni TEAL: Chi è più capace di leggere questi micro e macro trend? Chi può davvero cogliere i segnali importanti?

I capi? I leader? I quadri intermedi?

Nessuno di essi è in grado di cogliere ed elaborare tempestivamente le informazioni. La scalata verso l’alto per diverse cause (deformazioni, cancellazioni, generalizzazioni, ossia dei nostri meccanismi percettivi) riduce la qualità delle scelte e allunga i tempi per rispondere: due elementi chiave per il successo di qualunque organizzazione.

Solo le persone che producono, che stanno sul campo di lavoro, siano essi operai o erogatori di servizi, agiscono direttamente a contatto con il mondo e dunque possono fare la differenza nel fare scelte.

Quindi dove possiamo collocare i capi? I coordinatori?

I livelli gerarchici superiori dovrebbero essere i primi a sfruttare la posizione favorevole insita nella propria visione d’insieme, attivando forme profonde di ascolto, uso delle domande. Debbono iniziare a mettere in dubbio ciò che dovrebbe accadere e diventare maestri di facilitazione delle decisioni. E queste ultime dovrebbero essere così prese da chi sta davvero al livello dei problemi da affrontare.

Cosa può mettere in difficoltà questa trasformazione?

Qui entra in gioco l’ego umano. Laloux sostiene, infatti, che molte persone hanno paura di perdere il proprio ruolo perdendo il governo delle decisioni. Siamo troppo legati al ruolo di potere (come direbbe McClelland) e molto meno al senso di contributo di valore al sistema. L’equità è facile chiederla quando si è in basso 😊. Ma diventa più difficile volerla quando si è in alto.

Questa delega verso il basso genera produttività e innovazione e rinforza la fiducia tra chi partecipa con le proprie azioni all’andamento dell’impresa, aumentando l’engagement aziendale (come direbbe Six Seconds).

Esistono esempi di aziende TEAL?

Prima esistevano pochi esempi di successo e questo modello “olocratico” sembrava impossibile da applicare. Il commento medio dei manager che ne sentivano parlare anni fa era: “Bello! Fico! Fantastico! Magari fosse applicabile!”

In realtà, oggi abbiamo diversi casi di successo negli ambiti più disparati:

  • nel mondo dell’abbigliamento, abbiamo già citato Patagonia,
  • nel mondo dell’industria automobilistica possiamo contare su FAVI, leader nel settore dei componenti per automobili,
  • nel mondo scolastico pubblico viene raccontata la storia di ESBZ una scuola di Berlino. dove le idee di Laloux sono applicate in modo stupefacente e dove pur accogliendo moltissimi studenti considerati “problematici” da altre scuole, mostra risultati sempre al di sopra della media generale delle scuole di Berlino (andate a vedere qui su internet: https://www.ev-schule-zentrum.de/schulstufen/oberstufe/abiergebnisse)

Potrei andare anche oltre, ma non vorrei togliervi la curiosità di leggere gli altri casi citati all’interno di questo illuminante libro.

Cosa ci possiamo portare a casa?

Il Covid ha dimostrato che i nostri modi di approcciare la vita personale e organizzativa sono obsoleti rispetto alla velocità con cui si muove il cambiamento. Il pensiero di Laloux ci spinge a riflettere come ripensare i nostri modi di agire come persone, come imprenditori, come imprenditrici.

Il Covid ci ha fatto vedere che le persone sono già abili nel prendersi responsabilità quando serve, come ci ha dimostrato la tempestività dei cambiamenti nel mondo della sanità in questo periodo di pandemia.

Chissà quante azioni preventive avremmo potuto mettere in campo se avessimo ascoltato le tantissime voci presenti sul territorio che raccontavano la presenza di strane e profonde infezioni. Magari, una auto-organizzazione avrebbe potuto velocizzare le risposte di questa pandemia.

Qualche esempio dei possibili vantaggi post covid

Se vogliamo, ad esempio, la parità dei sessi, o come preferisco chiamarla io una maggior equità tra sessi, dobbiamo generare condizioni perché tutto possa essere equo e paritario per entrambi. Ad oggi, le donne che hanno scelto di farsi valere in azienda ha spesso rinunciato ai propri diritti di madre presente.

Sceglie pertanto di simulare l’atteggiamento dell’uomo l’azienda involontariamente premia questo atteggiamento errato. Gli strumenti a difesa dell’equità  devono rendere il più possibile le doonne libere di sentirsi in perfetto equilibrio tra vita familiare e aziendale.

Una donna che fa carriera non deve rinunciare alla possibilità di avere bambini in nessun momento della vita (e nemmeno di rimandare quel momento familiare per ragioni di lavoro). Un uomo che fa carriera non deve escludere la propria possibilità di essere genitorialmente presente.

Se prima sembrava impossibile,  grazie all’attività da remoto è diventato molto più realistico creare sani equilibri familiari… almeno per i lavori che permettono questa possibilitàa oggi. E chissà quante cose potrebbero ancora cambiare nel futuro.

E tutte queste trasformazioni, studiate nelle aziende TEAL, contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare, sono riuscite ad aumentare i profitti dell’impresa, rendendo più semplice gestire in modo virtuoso anche i momenti di crisi (la scelta dei miei dipendenti di pensare alla cassa integrazione come soluzione per il bene comune ne è un esempio lampante).

Quindi, anche chi ama fare profitto potrebbe scegliere questa soluzione senza troppe ansie. Ma spesso, chi lavora solo per il profitto, spesso… non riesce nemmeno a percepire lontanamente questa possibilità.

Cosa mi porto a casa io?

A questi principi generali aggiungo ciò che ho potuto scoprire nella mia breve sperimentazione dovuta principalmente al periodo storico attraversato:

  • Sono diventato consapevole che non tutti i viaggi che ho fatto erano utili per davvero e potevano facilmente essere gestiti a distanza, proteggendo così la mia famiglia da assenze prolungate e il mio corpo e la mia salute.
  • Ho finalmente capito che dialogare insieme con colleghi, partner professionali alla pari, parlando delle mie paure, delle mie percezioni, dei miei dubbi, nelle fasi iniziali di qualunque cambiamento può far la differenza sia emotivamente che praticamente.
    Solo le scelte condivise, con informazioni diffuse in modo trasparente, possono costruire rapporti di fiducia solidi e duraturi, producendo decisioni sostenibili, dove ciascuno può esprimere al meglio il proprio potenziale.
  • Mi sono reso conto ancora di più del valore della facilitazione esperienziale. Le aziende possono affidarsi ad essa per far crescere i manager dal punto di vista delle loro competenze, ma “devono” affidarsi ad essa, soprattutto per cambiare la propria cultura e far diventare l’azienda il luogo dell’auto-organizzazione.
  • Non posso impedire ai cambiamenti di arrivare, ma posso auto-organizzarmi come azienda, come persona interconnessa con altre persone, per farmi trovare pronto insieme a loro al fine di gestirli nel modo più virtuoso possibile, prendendo decisioni sostenibili che da solo non sarei mai stato in grado di prendere.

Spero di avervi fatto venire voglia di leggere il libro di LalouxReinventare le organizzazioni” e di scoprire quanto questo nuovo punto di vista possa aprirci a nuove possibilità anche in momenti di crisi come questo.

 

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