“Se ne ride chi abita i cieli”: management, leadership e … vita monacale

Se ne ride chi avita i cieli 2

Un monaco e un manager cosa possono avere in comune?

Come intenderanno la leadership un manager, un monaco e Papa Francesco?

Quante verità può contenere una matita?

Introduzione

Oggi, vorrei condurvi all’interno di una bella lettura fatta durante le vacanze Natalizie: “Se ne ride chi abita i cieli” (https://www.ibs.it/se-ne-ride-chi-abita-libro-giulio-dellavite/e/9788804708292).

Tutto inizia per caso. Anche se forse nulla accade per caso nella vita. Così dicono. E così è stato per Giorgio. Stiamo parlando di un manager rampante che sta ritornando a casa dopo un’intensa settimana di lavoro. È venerdì sera e ha promesso a sua moglie Sofia un bel weekend di relax.

La legge di Murphy è sempre in agguato però. Una fetta biscottata con burro e marmellata, quando cade passa attraverso la forza di gravità (perché effettivamente la questione è grave 😊) che la porta a cadere sempre dalla parte della confettura!

Perdersi lungo la strada

E, così, Giorgio si ritrova nel bel mezzo della campagna nella Bassa Lombardia, tra i fiumi della mia infanzia, Oglio e Adda, in panne. La vettura nuova di zecca, super accessoriata, si guasta nel bel mezzo del nulla. La situazione è di per sé spiacevole … Ma può diventarlo ancora di più.

Sono le 9 di sera, c’è nebbia fitta, non si vede nulla. Il cellulare è scarico e il navigatore della macchina non trova il satellite. Niente sembra voler funzionare secondo quanto pianificato da Giorgio. Non può avvisare nessuno (nemmeno Sofia che l’aspetta con ansia per partire per la montagna) e non sa come chiedere aiuto.

Vestito di tutto punto, come da manuale del giovane manager, si allontana dalla macchina alla ricerca di qualcuno che possa salvarlo da questo imprevisto così antipatico. Ha promesso questo weekend a Sofia da mesi e non può mancare all’appuntamento nemmeno cascasse il mondo. Gli serve un vero miracolo per uscire da quest’impasse.

Se ci fosse Hithcock alla regia, probabilmente la musica di sottofondo potrebbe essere quella di Psyco … Un tum tum tum molto inquietante. Invece, alla regia abbiamo un monsignore Bergamasco, come me. Solo Bergamasco ovviamente 😊

Una Abbazia pirotecnica

Nella realtà, invece, Giorgio trova sulla sua strada un’Abbazia che non aveva mai visto prima. Bussa alla porta per chiedere aiuto e si ritrova all’inizio di un pirotecnico viaggio personale che lo avvolge e coinvolge come non gli era mai capitato prima.

Varcare la soglia dell’abbazia diventa l’ingresso di un mondo parallelo, dove il tempo è dilatato, perché a Giorgio mancano i punti di riferimento classici del nostro mondo. Non ha il cellulareil caricabatterie, e nemmeno il computer per rispondere alle mail.

L’Abbazia, inoltre, è ricca di vuoti. Non ci sono suoni. Non ci sono ornamenti. Non ci sono luci. Nulla che possa distrarre la mente irrequieta di una persona che viva una vita “normale”, fatta di Whatsapp, Mail, internet, notifiche

Entra in questo nulla e ci si perde. Vive la frustrazione di chi non sa più come si viva disponendo solo dell’essenziale, asincroni rispetto a internet. Disconnessi dalla realtà digitale, ma connessi con la realtà reale.

Giulio Dellavite, lo scrittore, è una persona che conosce molto bene la lingua dei manager, gli inglesismi, le vanità di un mondo che viaggia a 180 all’ora, oltre il limite previsto dal codice della vita piena. Dove ogni mossa può essere assaporata pienamente. A mente piena.

Giulio Dellavite

La struttura del libro

Capitolo dopo capitolo, Giorgio passeggia insieme ad alcuni monaci attraverso tutti i luoghi-simbolo dell’abbazia (dalla cella alla biblioteca, dalla sala capitolare alla farmacia, dal refettorio all’infermeria, dall’orto dei semplici alla foresteria).

Questi luoghi fanno da sfondo a dissertazioni su temi universali (dalla Politica, all’Economia, dall’Ecologia alle Donne) e a parabole raccontate in chiave moderna.

La matita e le verità nascoste

La matita come esempio di oggetto semplice ma… straordinariamente capace di svelare 5 verità nascoste:

  1. Per fare grandi cose, deve affidarsi a qualcuno che la sappia portare fuori dall’astuccio e la sappia guidare.
  2. Ogni tanto deve fermarsi e accettare di essere temperata, facendosi male e perdendosi qualcosa di sé, ma ritrovando nuovamente la propria iniziale efficacia.
  3. Ogni tratto sbagliato può essere cancellato attraverso una gomma, ammettere a se stessi di sbagliare, permette di cancellare e migliorare
  4. A rendere di valore la matita non è il legno che la contiene, né l’estetica, ma la mina che c’è dentro
  5. Ha la capacità di lasciare segni su qualsiasi superficie, ma perché il segno diventi messaggio è necessaria la chiarezza di chi la guida.

A queste 5 verità ne aggiungo una, forse più conosciuta e altrettanto importante. La matita può spezzarsi ma dalla rottura con un po’ di pazienza e dolore nascono due matite che possono, seppur più piccole dare forma alle idee.

Come potete comprendere da questo esempio, ogni pezzo del libro è metaforico e fa nascere continue riflessioni, dove ogni parte in causa aggiunge valore ed esperienze che possono far scaturire insegnamenti.

Grazie a questo continuo scambio di battute, il lettore ha modo di interrogarsi ripetutamente su quale dei due protagonisti abbia più da dare/ricevere, insegnare/imparare in questo irreale, ma decisamente affascinante oltre che stimolante, confronto.

Entusiasmo e spiritualità

Le forti convinzioni e l’incredibile capacità di proiettarsi verso il mondo esterno, la fitta rete di relazioni che reggono il sistema società, l’azienda, per come la conosciamo oggi si confrontano con gli svelamenti frutto della coltivazione di una sana spiritualità.

Così mi viene in mente una storia che non riprendo in mano da tanto tempo e che, quando la sentii, mi colpì molto.

“Un giorno Dio si stancò degli uomini. Lo seccavano in continuazione, chiedendogli qualsiasi cosa. Allora decise di nascondersi per un po’ di tempo. Radunò tutti i suoi consiglieri e chiese loro: “Dove mi devo nascondere? Qual è il luogo migliore?”. Alcuni risposero: “Sulla cima della montagna più alta della terra”. Altri: “No, nasconditi nel fondo del mare, nessuno ti troverà”. Altri: “Nasconditi sul lato oscuro della luna; questo è il posto migliore. Come riusciranno a trovarti là?”. Allora Dio si rivolse al suo angelo più intelligente e lo interrogò: “Tu dove mi consigli di nascondermi?”. L’angelo intelligente, sorridendo, rispose: “Nasconditi nel cuore dell’uomo! È l’unico posto dove essi non vanno!”.

Come dar torto all’angelo intelligente 😊! L’uomo cerca le proprie risposte fuori da sé, quando invece molte di esse risiedono dentro. Nel nostro cuore risiede la nostra connessione con Dio. Con la nostra spiritualità, che va oltre ogni possibile religione.

Questa connessione con il cuore è quello che caratterizza le persone entusiaste. All’interno dell’opera, infatti, l’autore, attraverso le parole di Dom Ettore, ci ricorda il significato della parola “entusiasmo”:

“In greco antico un “Dio-giù” è en-theos, la radice della parola entusiasmo. Entusiasmo significa letteralmente: Dio-giù, Dio-in, avere Dio dentro, scoprire che se ti senti giù, se ti senti abbattuto, hai Dio vicino. Dio non viene “sulla” Terra come un extraterrestre. Dio è “in” Terra. Questi miei confratelli che sembrano sconfitti dalla vita sono per noi una miniera di entusiasmo. Guardarli e stare con loro non allevia il peso delle cose da fare, ma ci permette di dimenticare la fatica. Noi serriamo i pugni per bastare a noi stessi. “Mettili giù” ci dicono loro, insegnandoci il coraggio di avere bisogno degli altri. Noi frulliamo in testa parole, sbagli, torti, colpe. “Mettile giù.” Loro ci insegnano il fascino del piccolo e del fragile. Noi avanziamo pretese e rivendicazioni. “Mettile giù.” Loro ci insegnano l’importanza di non prenderci troppo sul serio, di cercare sorrisi. Noi vogliamo essere sempre più su, perciò abbiamo paura di piangere o svelare ferite e debolezze. “Mettiti giù.” Loro ci insegnano la bellezza di un passo incerto strappato alla paralisi dopo tanta fatica. Questo è l’entusiasmo.”

Una vita ricca di entusiasmo ha bisogno di trovare il bilanciamento tra avere il coraggio di vivere la forza centrifuga dello scoprire chi siamo, cosa abita davvero il nostro cuore, e la forza centrifuga del far comunicare il nostro noi con il mondo esterno.

Yin Yang

Un continuo s-bilanciamento

Ogni persona impara da quando è piccola a trovare un proprio equilibrio personale, frutto di una continua alternanza tra bilanciamenti e sbilanciamenti. Ognuno trova un punto di equilibrio differente che dipende dal proprio modo di essere e dagli ambienti vissuti.

Giorgio vive il suo equilibrio, modificando l’esterno e cercando di controllarlo, riempiendolo di cose utili. L’Abate invece rappresenta il rivolgersi verso l’interno per conoscere il mondo, facendo spazio dentro per succhiare così il midollo della vita fuori.

Sembrano due colori opposti, come il bianco e il nero, divisi da una parete che sembra invalicabile. Poi, pagina per pagina, il lettore, invece, sente avvicinarsi l’immagine del concetto cinese di Yin e Yang, buio e luce.

Le 24 ore di dialogo continuo, evolutivo, a spirale dei nostri due protagonisti, segna una sempre più interessante miscelazione tra colori. Giorgio può condividere alcuni strumenti “cool” del management che secondo il suo punto di vista possono fare la differenza quando si vuole ingaggiare i propri “stakeholder”.

La SWOT per comunicare meglio il “prodotto Abbazia” o il brand management della Chiesa che troppo spesso dimentica di far conoscere i messaggi profondi e fa trapelare le proprie incongruenze, alimentando dubbi sul valore spirituale dei propri insegnamenti.

Dom Ettore, invece, condivide le logiche che ispirano il funzionamento di un’Abbazia. La forza dell’essenzialità e della pienezza dei silenzi per arrivare alle radici di chi siamo, la dedizione e lo studio della realtà, fatta di sostanza e di forma in perfetta armonia.

Questi messaggi, inizialmente, non compresi da Giorgio, trovano invece terreno fertile nella sua mente e ne modificano profondamente le sue convinzioni. La frenesia, la ricerca di risultati concreti immediati, prima venerati, diventano relativamente meno importanti.

Nulla è più come prima dopo 24 ore. Eppure non è cambiato realmente molto. Se non il fatto che prima alla parola scritta “potere” era per Giorgio associata solo il significato di “avere potere su”, mentre, ora, dietro alla stessa parola percepisce il significato “essere capace di”.

Questa ambiguità linguistica gli ricorda quanto sia complessa l’attività di manager e leader. Un mix tra avere potere e dare forza al potere degli altri. E solo quando siamo in grado di alternare con coscienza entrambi i significati possiamo dirci manager completi.

Conclusioni

Cosa mi porto a casa

La vita di Giorgio è iperconnessa, ricca, veloce, orientata ai risultati immediati. Ma, per le stesse ragioni, rischia di diventare asfittica a causa della scarsità di spazio e tempo per provare il piacere di fare le cose più semplici, come coltivare una pianta o scegliere un frutto.

Dom Ettore, dal canto suo, vive una vita riflessiva, lenta, ricca di vuoti, silenzi, pazienza all’interno di un ambiente dove è presente tutto l’essenziale e il vuoto è come l’ossigeno, serve per respirare, quindi vivere.

A volte però questa stessa lentezza e distanza dal mondo, utile per generare spazio per creare e vivere in modo sano, può creare vuoti relazionali con il mondo che non comprende questa tipologia di linguaggio così lontano dalla realtà.

Incontro scontro

Un bello scontro che porta, lungo il suo evolversi, all’incontro speciale tra due mondi che nella realtà possono facilmente convivere e stimolarsi reciprocamente. Un processo di confronto e scambio che prende il via dalla considerazione “che non tutti i manager sono leader e non tutti i leader sono necessariamente manager”.

Quindi cosa si può cercare in un vero manager che incarni entrambe le culture?

Prendendo spunto dalle parole di Papa Francesco, “Leader è chi si lascia interpellare per essere manager fuori e monaco dentro”. Yin e Yang insieme per arricchire il leader di tutto ciò che può fare la differenza per uno sviluppo sostenibile di se stesso e delle persone che ha intorno.

PS: Ho chiamato più volte chiamato Dom Ettore, l’Abate. Si tratta di una formula di reverenza tipica dell’ordine dei dei Benedettini. Per permetterci di memorizzare questo piccolo concetto, l’autore ci ricorda che uno dei più famosi Champagne proviene proprio da un monaco Benedettino francese. Il brand, tra i più famosi, si chiama “Dom Pérignon” 😊

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