Esercizi per un cervello felice
Come funziona la felicità? Come funziona il cervello di una persona che riesce a essere felice?
Dipende tutto da ciò che ci accade? Da come percepiamo ciò che ci accade? Da quello che interpretiamo?
Essere più felici è un desiderio o è la scoperta di ciò che desideriamo e il percorso che facciamo per inseguire con leggerezza il nostro desiderio?
Introduzione
Quelle che ho posto qui sopra sono solo alcune delle domande che mi sono posto leggendo il libro di Wendy Suzuki, “Happy Brain” (https://www.ibs.it/happy-brain-ebook-billie-fitzpatrick-wendy-suzuki/e/9788820093044).
Nella mia vita, non so quante volte abbia cambiato opinione sulla parola felicità. Si tratta di un sogno? Di uno scopo? Dipende dalla nostra bravura? È uno stato dell’essere?
Che cos’è la felicità? Davvero, è possibile raggiungerla? Possiamo allenarci facendo qualcosa?
La neuro-scienziata americana Wendy Suzuki ci fornisce alcune risposte e alcuni dati scientifici che possono in un certo qual modo stupirci. Da anni, studia in laboratorio gli effetti dell’attività fisica sul cervello. La domanda che la guida è: può l’esercizio fisico essere una cura naturale per il nostro benessere?
Come nasce questa sua passione?
Wendy Suzuki nasce in una famiglia di origine giapponese. La sua vita è predestinata (come per tanti 😊). Per quanto ami la musica e l’arte, la sua unica strada possibile, o almeno quella che diventa una scelta possibile, da cui scaturisce la sua immagine personale, è legata all’università e al successo nel lavoro.
Cosa non così strana visto il periodo storico in cui cresce. Le future generazioni dovevano essere assolutamente più forti delle vecchie e dovevano raggiungere obiettivi più importanti. E la piccola Wendy non è un’eccezione a questo paradigma dominante.
Piegare il futuro dei bimbi al loro successo, fatto di un’educazione basata sulle performance può essere una grande opportunità. Ma anche una grande condanna. Una grande fregatura.
Secondo questo modello di vita, tutto è condizionato ai risultati che otterremo. Fabio quindi sarà bravo (e amato) se andrà bene a scuola o sarà cattivo (e non amato) se non riuscirà a sfondare. Sembra una cosa quasi normale. I genitori vogliono il meglio per i figli e la scuola sembra il luogo dove possono imparare a ottenerlo, rispettando gli standard prefissi e … giusti.
Schemi di infelicità
A quanto pare non è così. La scuola e l’educazione familiare possono creare schemi di infelicità incredibilmente potenti. Ne fuoriescono modelli di io condizionati a performance di successo (tra l’altro anche il concetto di cosa sia di successo sarebbe da mettere in discussione), capaci di produrre apparente felicità nei momenti di raggiungimento degli obiettivi e continua infelicità durante tutto il resto del tempo. Una felicità quindi condizionata a qualcosa di effimero e poco controllabile.
Wendy Suzuki racconta in alcuni passaggi del libro quanto nella prima parte della sua vita si sentisse, inconsciamente, condizionata dalle performance scolastiche e non appena finita l’università alle performance da ricercatrice scientifica.
A scuola sono i voti a renderla una brava persona, mentre sul lavoro sono le pubblicazioni a diventare lo scopo ultimo per poter diventare una ricercatrice affermata e quindi brava rispetto all’immagine di sé che si era creata durante l’infanzia.
Questo dipinto che sembra normale e giusto lascia in sottofondo però alcune conseguenze non troppo belle che spesso facciamo finta di non osservare. Ogni altra cosa, seppur importante, infatti, finisce in secondo piano.
Vita sociale, famiglia, le proprie passioni, tutto perde di significato finché non abbiamo raggiunto il successo. L’eccellenza attraverso un riconoscimento pubblico, sociale, coerente con l’immagine di noi che seleziona gli stimoli a cui dobbiamo rispondere.
Meccanismo d’azione
Il cocktail è presto pronto. Ansia da pubblicazione produce cortisolo e adrenalina. Contemporaneamente, il corpo si prepara a lenire la preoccupazione con una schicchera di endorfine che produce un senso di euforia.
Un drink agro dolce, prima tanta energia, poi tanta euforia. Un meccanismo che si inceppa nella nostra società moderna. Questo mix di energia ed euforia, una volta, serviva per vincere contro i predatori che volevano mangiarci.
L’energia, frutto dell’adrenalina e del cortisolo, ci permetteva di scappare o di lottare. Per salvarci. L’euforia allo stesso tempo ci impediva di sentire dolore, tristezza, o qualunque altra emozione in quel particolare momento poco utile.
Oggi, queste scariche, invece, sono frutto di sfide dove la minaccia è molto meno pericolosa, ma … Costante! Lo stress diventa un compagno di viaggio che prenota con noi ogni spostamento. Non ci lascia nemmeno in vacanza. Non se ne va nemmeno di notte. Anzi. Come direbbe Freud, lì si diverte ancor di più liberando i ricordi e le sofferenze attraverso sogni o .. Incubi 😊
Non godersi il viaggio che conseguenze ha?
Quindi, la scelta inconsapevole di vivere sempre a mille per raggiungere le migliori performance, senza dedicare tempo e spazio a ciò che può farci stare bene fisicamente ed emotivamente, attivandoci alla giusta D.O.S.E. ha delle conseguenze complesse. Ci autocondanniamo nella prigione dello stress. Ci creiamo dei meccanismi di difesa che nel breve ci salvano ma nel tempo ci anestetizzano, rendendoci incapaci di reagire in modo felice.
L’ansia che regola tutte i comportamenti frutto di scelte inconsapevoli obbliga il nostro cervello a delle compensazioni, adattamenti. Una di esse è lagata al processo attentivo. L’attenzione serve per acquisire le informazioni utili a prendere le migliori decisioni in un dato momento. O almeno così dovrebbe essere. Eppure il cervello in molti casi non ci mette in questa condizione.
Processi di alterazione della percezione, rendono impossibile vedere tutta la situazione che stiamo affrontando. Ci impedisce sostanzialmente di mettere sul tavolo tutte le informazioni. Alcune le abbiamo censurate, altre le neghiamo, altre le deformiamo. E tutto per lenire momentaneamente l’ansia di sapere qualcosa che potrebbe farci stare male nel breve.
Nel lungo periodo, però, la scoperta di queste deformazioni, come spesso avviene dialogando attivamente con uno psicoanalista, potrebbe liberarci dalle catene degli schemi nascosti dietro alle nostre maschere e i nostri comportamenti, riducendo definitivamente il peso dell’ansia che li genera inconsapevolmente.
Grazie a questi meccanismi potremmo esser così capaci di vedere tutti i fattori in gioco. Prendere scelte consapevoli di breve e di lungo periodo. Invece, la vita spesso non è così. Ci ritroviamo a inseguire cose ritenute importanti senza nemmeno sapere per quale ragione. E davanti a qualcuno che ci facesser riflettere saremmo davvero in grado di negare anche la più profonda evidenza.
Mi ricordo l’inizio dell’autobiografia di André Agassi, Open. Comincia con “Io odio il tennis“. Sembra assurdo per una persona che … Ha vinto tutto. Eppure, se leggerete quest’opera, vi renderete conto che … Agassi, per tanta parte della propria vita, ha vissuto male il suo sogno di diventare il numero 1.
https://www.ibs.it/open-mia-storia-libro-andre-agassi/e/9788806229726
Un caso d’ansia di successo
André Agassi ha sofferto più di quanto ci si possa immaginare. Il ricordo di questo ragazzo vincente, pettinato strano (col parrucchino per tanta parte della sua carriera), ha fatto dimenticare ciò che invece nella sua biografia viene dettagliatament raccontato.
Ha vissuto di eccessi per dimenticare il suo star male. E tutto ciò anche mentre vinceva. Neppure in quel momento il dolore lo abbandonava. Stava bene per qualche istante prima di ritornare nel suo baratro di sofferenza. Perché? Cosa può spingere qualcuno di successo a stare male quando tutti vorrebbero essere al posto suo?
Credo che tutto nasca dal perché facciamo le cose. André Agassi ha scelto di diventare tennista perché era il sogno di suo papà. Si è comprato il sogno di un’altra persona e con tenacia l’ha raggiunto diventando primo. Odiando se stesso e la sua stessa arte non appena finite le gioie delle vittorie.
Non odiava vincere, odiava forse la sensazione di essere condannato a vincere dalla sua stessa educazione. Per curare la sua sofferenza, ha cercato conforto in abitudini non sempre salutari e mettendo a rischio più volte la sua carriera e la sua vita.
Wendi Suzuki è più simile a una persona comune rispetto ad André Agassi. La sua arte è insegnare all’università, disegnare studi scientifici e ricerche per comprendere al meglio come funziona il cervello nei processi di apprendimento e memorizzazione. Ama il suo lavoro, ma … Si stressa moltissimo a causa delle numerose sollecitazioni dovute al suo ruolo.
Deve conquistare i budget per le sperimentazioni. Deve ideare ricerche interessanti che producano risultati da inserire nelle pubblicazioni. Deve partecipare a congressi. Deve gestire studenti e ricercatori che fanno parte del proprio dipartimento. Deve fare rete con altre università. Tutti doveri che le riescono bene. La portano a diventare una professoressa molto “ricercata”. 😊
I “devo” come potete leggere, sono tanti e occupano tutta la sua vita, tutto lo spazio mentale che lei ha a disposizione per prendere decisioni. Tutto ciò continua senza interruzioni per tanto tempo, portandola verso il suo essere una bravissima ricercatrice e docente. Ma dentro di sé sente che qualcosa manca.
La svolta
Tutto le sembra andar bene, fino a quando non inizia ad accorgersi che qualcosa non funziona. Non si sente soddisfatta. La sua vita personale è l’opposto della sua vita lavorativa.
Si inizia ribellare a questa condizione di insoddisfazione, sperimentando piccoli cambiamenti che la conducono a un viaggio di avventura in Perù. Qui avviene la grande svolta. Si accorge di essere completamente fuori forma rispetto a persone con cui sta condividendo quell’avventura.
La sua condizione fisica non è ottimale e si trova a dover chiedere aiuto a persone molto più anziane di lei. Molto più felici di lei. Giura a se stessa che non le sarebbe più accaduto di sentirsi la più debole del gruppo.
Si rende in quel momento conto di essere cresciuta secondo uno schema che dava poco spazio all’equilibrio. Il dovere sul lavoro doveva avere la prevalenza su tutto ciò che non era lavoro. La sua passione per la musica poteva essere portata avanti, ma solo se non andava toccare la performance scolastica e, successivamente, lavorativa. Il piacere e il desiderio sono obiettivi secondari per la bambina Wendy.
La difficile arte di essere genitori
Perché i genitori di Wendy Suzuki le hanno insegnato uno schema con conseguenze così potenzialmente insane? E perché anche tanti altri genitori fanno lo stesso con i propri figli?
Difficilmente, i genitori si accorgono delle conseguenze dei propri comportamenti sui propri figli. Lo scopo dell’educazione è attrezzare i figli a stare al mondo. Il problema è che i figli piccoli introiettano alcune regole deformandone l’interpretazione.
Non è sbagliato insegnare le buone maniere o l’importanza di andare bene a scuola. È il significato che attribuisce il bambino quando è troppo piccolo a generare la problematica d’ansia e le conseguenze deformazioni del messaggio. Purtroppo, tra i 3 e i 6 anni, la fase più importante nella generazione dei caratteri, il bambino comprende poco i perché razionali dei nostri comportamenti, ma … Vuole solo essere amato con sicurezza e senza condizionamenti.
Per il nostro bimbo, quello che eravamo a quell’età, è incomprensibile vivere l’amore condizionato a delle regole comportamentali. Ci si adatta solo per ricevere amore e protezione, per non deludere le attese che i genitori inconsciamente creano.
L’inzio della metamorfosi
Solo quando l’adulto diviene consapevole di questo strano meccanismo inconscio, può finalmente prendere una strada diversa e rientrare in contatto con quel bambino che grazie a quelle regole si è sentito non protetto e non amato. E cominciare così ad amarsi.
Wendy Suzuki, in Perù, inizia così la riconciliazione con la sua parte bambina e si prende l’impegno di fare esercizio tutti i giorni e di mangiare in modo sano e regolare, cercando i dare spazio a se stessa al di fuori del contesto dell’Università.
Questo impegno con se stessa, dopo un inizio difficile, dove le tentazioni di smettere sono state tante, trova un alleato insospettabile. Un senso di benessere fisico e mentale mai provato la invade e le genera una capacità di focus mai sperimentata. Inizia a sentire che la sua attività lavorativa pur non essendo coinvolta in questo cambiamento ne ricava degli effetti molto benefici.
Sarà un’impressione o l’esercizio fisico può portare benessere e migliori la nostra attenzione, il nostro focus?
Stupita da questa strana sensazione, decide di indagare meglio e organizza un’intera docenza presso l’università (sfidando un sacco di dogmi presenti nel mondo accademico) sul cervello e il suo funzionamento, bilanciando attività fisica e lezioni didattiche. Memorizzeranno meglio i suoi studenti? Felicità e benessere saranno in grado di … Portare a una miglior performance?
I risultati che devono ispirarci
Incredibile, ma vero le prime sperimentazioni messe in campo danno subito risultati interessanti e fanno cominciare un intero filone di studi. Animali e uomini sono accomunati da questa speciale caratteristica. Allenarsi rende felici e migliora la vita.
Esercitarsi fisicamente, insieme alla pratica della meditazione, diventano incredibilmente due partner nella neurogenesi Ippocampale e della corteccia prefrontale e nella produzione di neurotrasmettitori del benessere (la nostra giusta D.O.S.E.).
L’esercizio fisico, anche per pochi minuti al giorno (4 minuti ogni tanto lungo l’arco della giornata), è in grado di attivare la giusta D.O.S.E. di energia e di produrre dentro di noi un senso speciale di benessere incondizionato. Questo benessere può così indirizzarci verso quel che davvero desideriamo e verso un bilanciamento di vita professionale e vita familiare altrimenti difficile da raggiungere.
L’esercizio vissuto come un momento per noi, un modo diverso per dare attenzione alla nostra parte bambina, può diventare un grande alleato nella “creazione” della nostra vita, rendendoci abili nel gestire lo stress che questa società ci obbliga a vivere quotidianamente.
Come potete vedere nel bellissimo TED di Wendi Suzuki del 19 giugno 2018 dal titolo “The Brain Changing Benefits of Exercise” (i benefici, che modificano il cervello, derivanti dall’attività fisica), non serve cambiare radicalmente chi siamo per riportarci in equilibrio. Serve comprendere l’importanza dei piccoli gesti che ci possono riportare al centro del nostro mondo.
Serve tornare a curare la nostra parte bambina, ascoltandola e comprendendola, liberandosi da quegli schemi che ci rendono forti per il mondo, ma deboli per noi stessi..
https://www.ted.com/talks/wendy_suzuki_the_brain_changing_benefits_of_exercise
Basta desiderare ardentemente questo bilanciamento e la felicità potrà tornare finalmente tra le nostre stesse braccia. Con questo auspicio per me stesso e per le persone a cui voglio bene, vi auguro un Natale 2020 sereno e … felice!
PS: Anche se non lo cito in modo ufficiale questo articolo nasce da diverse riflessioni nate dalla lettura del libro di Daniel Goleman “Menzogna, Autoinganno, Illusione”
https://www.ibs.it/menzogna-autoinganno-illusione-libro-daniel-goleman/e/9788817112192