Saranno gioie e dolori – alla ricerca di un equilibrio
Che legame c’è tra dolore e felicità?
Cosa significa essere leali con se stessi e con gli altri?
Il potere può essere con l’altro e non sull’altro?
Intro
Nulla di quanto sto per scrivere è casuale. Tutto ciò che ci accade ha un suo percorso. All’inizio può sembrare strano pensarla così. Ma poi, analizzando bene i fatti, tutti ci possiamo accorgere di tanti punti che ci hanno portato a dove siamo. In quest’ultimo periodo, ho sfruttato il lavoro da casa, sto benedetto o maledetto smart working, remote working, per riprendere in mano il mio primo libro e provare a riprendere in mano la penna per continuare il suo seguito.
Andrea, infatti, è un personaggio che non può finire con un solo libro. Ancora non è riuscito a unire tutti i puntini della sua vita. Tante cose gli sfuggono e ha solo la parvenza di aver capito cosa gli stia accadendo dentro e intorno. Rileggermi la mia opera prima, per cercare di cancellare tutti quegli errori di battitura che mi fanno tanta inca**are mi è servito molto.
Era l’anno 2011. Da poco avevo scoperto che sarei diventato papà 7 messi più tardi. Ero al settimo cielo. Eppure avevo una paura fottuta. Avevo tante domande in testa e nel cuore. Ce l’avrei fatta a essere un buon papà? A portare avanti una famiglia in trasformazione?
Parlo del lato economico perché come imprenditore appena nato avevo ancora tutto non sotto controllo e parlo come persona umana, perché, per quanto mi credessi consapevole di tante cose, lo ero molto meno di quanto immaginassi.
Problema di consapevolezza
Il problema era che non mi rendevo conto di quanto mi stesse accadendo dentro. Della lotta intestina presente in me. La gioia di quel che stava per avvenire aveva nascosto la polvere della mia fottuta paura sotto un tappeto di finta atarassia emotiva. Tutto sarebbe andato bene. In qualunque direzione guardassi, cercavo sempre la strada per sistemare tutto … In fretta e a volte anche in furia.
Rileggere il percorso di Andrea mi ha fatto immergere nella mia stessa storia. Non quella del libro (anche perché è di Andrea e non mia). Nella mia mia. Quella del non ancora scrittore che seguendo l’emozione della nascita in arrivo sperimenta una sorta di stato di flusso. Una produttività incredibilmente potente e focalizzante.
Mi ricordo come fosse ieri quanto quella gioia di diventare papà mi desse energia, ispirazione. Mi alzavo presto la mattina per scrivere e dare forma alle mille idee in testa. Volevo fosse qualcosa di nuovo. Qualcosa che potessere rendere fiero mio figlio, la mia famiglia. E contemporaneamente volevo sconfiggere probabilmente la paura di non essere in grado di farlo. Di non avere la stoffa dello scrittore.
Non saper scrivere
Partiamo da un fatto. Non so scrivere. Non l’ho mai saputo fare e forse non lo fare nemmeno ora che mi arrogo il diritto di farlo. Scrivere, come forse già sapete se avete letto gli articoli del mio blog, non è stato mai il mio asso nella manica. Per cui riuscire a farlo poteva dimostrare che a scuola si fossero sbagliati sul mio conto. Non è vero che non ero in grado. Non è vero che tutto ciò che producevo con la penna in mano fosse inutile e sbagliato. Chissà cosa direbbero ora i miei vecchi insegnanti di italiano.
Chi mi conosce ora può far fatica a trovarsi in questa descrizione. Perché nel tempo mi sono costruito tante armature per lenire il dolore che mi ha sempre causato il giudizio altrui. Jung potrebbe utilizzare me come esempio di energia connessa con il sentimento e la relazione con gli altri. Per me il fallimento è quando qualcuno non riconosce il valore della mia persona. Per certi aspetti invidio chi usa l’energia opposta. Razionalità, metodo e obiettivi. Il giudizio è definito da se stessi e non è così spostato sull’altro.
Spezzare i doppi legami interni
Per me tutto è incatenato al giudizio altrui. Quel che l’altro pensa di me può prendere il sopravvento su di me. E crearmi dolore. Un doppio dolore. Il dolore di chi viene svalutato in alcuni casi, ossia non valutato per quello che è. Il dolore di avere una catena che mi stringe il collo e che mi fa fare cose che non sempre sono per me e per le persone a cui voglio bene.
Perché non riesco a cambiare? E sopratutto … Come fare per cambiare? Come fare per allenarsi a dare contemporaneamente forza al giudizio altrui e al proprio?
Per anni mi sono posto queste domande. Sono formatore e coach. Il cambiamento dovrebbe essere qualcosa di cui sono padrone. Eppure, per tanto tempo non sono riuscito a rispondere. Mi sono nascosto dentro alla gioia di essere ispirato dal mio stesso limite. Tanta gioia, frutto di questa mia energia preferenziale, che per anni non mi ha fatto affrontare le mie paure. Quelle per cui un adulto può definirsi tale.
Gioie e dolori
Rileggendo le parole di Andrea all’interno del romanzo, del mio manualibro, mi sono reso conto della quantità di dolore che si può aver dentro anche quando tutto sembra andare bene. Andare per il verso giusto. Il dolore è l’altra faccia della gioia. Io odio il dolore. Lo odio con tutto me stesso. Non vorrei mai vivere il dolore, perché non so gestirlo bene. Mi altera le reazioni.
Passo dal felice al triste. Dal triste al felice con una rapidità che a volte mi spiazza. Come se ci fossero due io dentro di me entrambi urlanti e mi scuotono. Non so modulare queste reazioni, queste emozioni. L’onda emozionale che mi invade non riesco a canalizzarla rendendola affrontabile.
Vorrei silenziarli. Forse, nel passato l’ho anche fatto. Perdendo il gusto di sentire. Percepire ciò che accade. Viverlo fino al midollo. Ecco perché mi stupisco nell’immergermi nei ricordi di quando scrissi la prima versione di “Come l’acqua”.
Oggi no. Oggi capisco che vivere ha a che fare con il dolore quanto con la gioia. L’ho sempre detto anche in aula le emozioni sono tutte importanti. Ma … Nella mia vita, lo ammetto, ne ho sempre cercate alcune e fuggite altre.
Cosa può cambiare dentro
Ora, tutto è diverso. Rileggere quel che ho prodotto tanto tempo fa, mi ha fatto capire quante cose sono cambiate e quanto il tempo può scorrere, come l’acqua, levigando i caratteri. Amo il mio dolore e le mie ferite. Amo la mia energia anche se la voglio far danzare con la sua diretta opposta. Emozioni e razionalità possono convivere in un equilibrio dirompente. Anche se tante volte, sembra tutto il contrario.
In tanti momenti della vita, ho odiato chi poneva la libertà come valore principale del proprio essere. Pensavo non si potesse essere liberi dal mondo intorno. E pensavo fosse egoistico averlo come principio guida della propria esistenza. In realtà, ero solo io a non volerlo perché non sapevo come liberarmi dalle catene senza avere l’impressione di fare male a chi mi stava intorno.
Avevo paura del dolore che avrei potuto provocare in loro. E, forse, soprattutto, del dolore che avrei provato io.
La forza del “Potere con”
Nella realtà, così facendo ho scelto di non essere con loro. Né con me. Non a caso, qualcuno a cui tengo molto, tempo fa, mi ha fatto molto soffrire e riflettere allo stesso modo. In un messaggio whatsapp, mi ha sottolineato il ricorre di un meccanismo relazionale, lavorativo, di cui non ero consapevole. Per darmi il suo feedback, mi ha ricordato una distinzione linguistica importante, tratta dall’approccio alla comunicazione non violenta di Marshall Rosenberg.
Il potere che esercitiamo in casa o al lavoro non è sempre della stessa tipologia. In alcuni casi, attiviamo la modalità “potere con” e in altri la modalità “potere su”. “Potere con” significa condividere le scelte, legittimare l’altro nelle azioni compiute, dare visibilità completa sulle cose che accadono.
Nell’altra modalità, “Potere su”, la persona si arroga il diritto di non far sapere all’altro tutto e prende decisioni in autonomia per il bene di entrambi. Magari, con il miglior intento, ma delegittimando l’altro dal suo potere di scelta.
Ca**o!!!!!! L’ho fatto tante volte, convinto che fosse per il bene di entrambi e un po’ … Per la mia naturale disorganizzazione personale. Senza volerlo consciamente, ho scelto di utilizzare il “Potere su” troppe volte e … Credo di averlo imparato per sopravvivenza nel mio passato. Per scappare dal dolore di dover negoziare con l’altro qualcosa di per me “ovviamente” giusto.
Paura di essere riufiutati o di rifiutarsi
Paura che il suo rifiuto rispetto alla scelta fosse in realtà un rifiuto a me. Alla mia persona. Paura di affrontare l’errore appena commesso di aver dato la parola a qualcuno troppo presto, senza aver considerto tutti gli impatti e non aver condiviso la scelta con chi poi quella decisione la potrebbe subire.
Purtroppo, questo meccanismo che in passato mi ha dato salvezza. O almeno mi ha fatto credere di essere salvo, mi ha impedito di amare me stesso per quel che sono. Perché, in realtà, se usiamo questo approccio troppe volte diventa difficile riconoscere chi siamo veramente e poi non possiamo lamentarci se l’altro non ci comprende, non vuole più lavorare con noi anche se… ci vuole bene.
Anzi, facendo questa scelta di campo ci può far scoprire la via per tornare alla luce.
Riaccendere la luce
La lealtà verso qualcuno, amici, mogli, figli, parenti, è potersi esprimere in modo diretto e sincero, aprendosi alla possibilità di soffrire per un bene superiore che l’equilibrio migliore che ne deriva. Per farlo, però, non si può tirare le proprie corde emotive fino a farle strappare. Bisogna accorgersi per tempo di ciò che accade dentro di noi e di quali sono i nostri nightmere. I nostri incubi.
Perché urlare contro qualcuno non significa dire in faccia quel che si pensa dal cuore. Significa aver aspettato troppo per poterlo dire con la giusta forza senza prevaricare l’altro E ciò vuol dire accettare anche le critiche, anche dure, anche urlate, perché possono farci crescere. Possono rivelare quello che non possiamo vedere, percepire, ascoltare se non ci apriamo al dolore.
Il dolore è come un muscolo. Può essere allenato. Ci possiamo allenare a soffrire e a vivere col dolore, sintonizzando il canale della sofferenza con l’accettazione che non esiste una parte luce senza che sia presente una parte buio. Un po’ come lo Yin e lo Yang. Entrambe le parti convivono in noi e lottano per prevalere.
Solo quando riusciamo a far pace con noi stessi e con le nostre lotte possiamo salire di livello. E non è un processo che inizia e finisce. Si tratta di un battaglia che rimarrà per sempre attiva. I problemi cambiano, le persone cambiano, gli ambienti cambiano. Tutto prima o poi si trasforma e ci mette di fronte a una nuova sfida e alla ricerca di un nuovo equilibrio.
Cosa mi porto a casa oggi
Non avrei mai immaginato che rileggere il mio manualibro e iniziare a scrivere il suo seguito mi potesse far sentire così giù e su. Così gioia e così dolore. Così, ricco e così povero dentro. Scrivere è un’arte che forse non mi apparterrà mai. Leggere è sempre stato il mio rifugio, la mia medicina dell’anima. Ora ho capito che anche scrivere lo può essere. Soprattutto quando il destinatario di ciò che scrivo sono proprio io.