“Ogni storia è una storia d’amore” e serve “Una Gran Voglia di Vivere”

“Ogni storia è una storia d’amore” e serve “Una Gran Voglia di Vivere”

Cosa avranno in comune due autori come Alessandro D’Avenia e Fabio Volo?

Cosa si possono direi Anna e Marco con  Orfeo ed Euridice, con le 36 coppie di artisti e muse?

Cos’è l’amore? Esiste l’amore? Si può amare e vivere felici?

Orfeo e Euridice

Introduzione

Prima di oggi, non avrei mai pensato di accostare due autori così differenti. Alessandro D’Avenia, insegnante di Italiano, Latino e Greco al liceo e Fabio Volo, un artista, scrittore, attore, regista.

L’arte in modo differente li lega. Sicuramente, sono diversi. Alessandro D’Avenia, molto raffinato, curato, colto, profondo, forbito. A volte complesso e lento nel suo scrivere artistico.

Fabio Volo, come afferma il suo stesso cognome, leggero, sorridente, per alcuni, superficiale come alcuni suoi personaggi, almeno all’apparenza.

Eppure … Sono qui a scriverne. E, probabilmente, ora, vi state chiedendo il perché.

Ogni storia è una storia d'amore

Ogni storia è una storia d’amore?

Mi trovavo nel mezzo del cammin di una storia, all’interno del libro “Ogni storia è una storia d’amore”, quando ho avuto bisogno di una pausa. Mi sentivo mancare il fiato. Avevo bisogno di ossigeno. Di fermare il mio vorticoso pensare.

Ogni capitolo del libro di D’Avenia narra le gesta di un artista e della sua musa. Un amore diverso da quello che ci immagiamo. O almeno da quello che mi immaginavo io.

Probabilmente, è uno dei motivi per cui mi è stato fortemente consigliato. Per vedere sfumature dell’amore non sempre così conosciute. Non che io abbia mai avuto l’idea dell’amore in versione Mulino Bianco, per certi versi, troppo laccata. Ma non faceva per me nemmeno la versione “Guerra dei Roses”.

Le 36 storie, cominciando da quella di Orfeo ed Euridice, seguono un fil rouge molto particolare. Si parte normalmente dall’amore, o perlomeno da un’infatuazione fortissima, si giunge a una situazione di disparità, che genera momenti di tristezza e, a volte, si rinasce in un nuovo stato, un nuovo equilibrio.

A me, questa dinamica ha ricordato tantissime persone che conosco. Coppie che consumano tantissime energie all’interno di rapporti dispari. All’interno di queste pagine, infatti, le dinamiche vengono rappresentate da un artista e dalla sua musa che, pur volendosi bene, si relazionano in modo doloroso e, a volte, incomprensibile. Per me, perlomeno.

Legame tra dinamiche non sane e opere d’arte

Stiamo parlando di rapporti dalle dinamiche insane che hanno prodotto opere che oggi leggiamo, guardiamo e ascoltiamo con grandissima attenzione, perché rappresentano l’arte.

Passando da una storia all’altra, mi sono iniziato a porre una domanda.

Tutti gli artisti devono avere una musa per realizzare le proprie opere?

Sicuramente gli artisti descritti da Alessandro D’Avenia avevano una musa e, nella maggior parte dei casi, l’epilogo non artistico non è stato proprio dei migliori.

Perché ciò avviene? Perché è necessario questo rapporto dispari? Cosa genera questa disparità?

Una gran voglia di viver

Una gran voglia di vivere … una pausa mentale

Così, mentre mi facevo rapire da questi interrogativi, consumando zucchero mentale (sì, perché non so se lo sapete è uno sport anche leggere con attenzione e soprattutto porsi domande 😊), ho avuto bisogno di una bella pausa. Un’amica mi aveva fatto sapere che era uscito l’ultimo libro di Fabio Volo.

Ho così ingenuamente pensato “Daje Fabbbiè, fammi sognà”.

Peccato che “Una gran voglia di vivere” cominci parlando proprio di una coppia di architetti (un lavoro che un po’ di arte ha al proprio interno) in crisi. Da un semplice “Mi ami ancora?” comincia tutto.

Il rapporto tra loro è, da diverso tempo, logoro. Nemmeno il figlio Matteo è riuscito a suturare la ferita che nella loro relazione si è creata. Sempre che un figlio possa suturare relazioni logore 😊 Anzi, forse Matteo ha creato uno iato ancora più profondo.

Quando Marco e Anna si sono conosciuti, era stato amore a prima vista. Entrambi avevano arricchito la propria vita grazie alla presenza dell’altro. La loro complicità era incredibile. Tutto era armonico. Casa, lavoro, vita pubblica, vita privata. Tutto incredibilmente perfetto. Poi, qualcosa è cambiato.

Marco e Anna hanno perso la gioia di danzare insieme. Ciò che durante il periodo d’amore aveva fatto la differenza nei primi tempi, a un certo punto è … scomparso. La magia del sentimento, dell’amore, ha lasciato spazio all’abitudine, alle rinunce, alla vita che non vorremmo mai. Quella scontata.

I momenti d’amore, capaci di rendere tutto più luminoso, più bello e più produttivo, sono diventati lamentele e pretese.

Le dinamiche all’interno delle coppie “normali”

Al posto delle opere d’arte, che nella vita di persone “normali” possono essere semplicemente una cena a sorpresa, un regalo inaspettato, un brindisi a “noi”, si sono trovati davanti alla routine.

Abitudini che dividono. Non rituali che legano.

Quindi, mi avete sicuramente capito. Altro che pausa!!!.

Un’altra mazzata alla bocca dello stomaco. Fabio Volo, stavolta, per quanto alleggerisca la scrittura con la sua solita simpatica penna semplice e schietta, mantiene alta la tensione fino alla fine. Che non vi racconto, ma che vi posso assicurare, mi ha fatto consumare più zuccheri di quanti ne avessi previsti 😊

Alla radice dell’amare

Provo a passare da una terza via per affrontare un tema che per me è ancora oscuro. Cosa significa amare ed essere amati. Mi aiuto citando le parole del “Piccolo principe” di Saint-Exupéry.

«Ti amo» – disse il Piccolo Principe.

«Anche io ti voglio bene» – rispose la rosa.

«Ma non è la stessa cosa» – rispose lui. – «Voler bene significa prendere possesso di qualcosa, di qualcuno. Significa cercare negli altri ciò che riempie le aspettative personali di affetto, di compagnia. Voler bene significa rendere nostro ciò che non ci appartiene, desiderare qualcosa per completarci, perché sentiamo che ci manca qualcosa.»

Le parole del Piccolo Principe possono funzionare come lenti di un paio di occhiali. Indossandole, forse, posso andare alle radici dell’amore artistico. Per farlo, provo a utilizzarli per entrare nella storia di una delle coppie più famose del libro di Alessandro D’Avenia: Alma Reville e Alfred Hitchcock.

Alma Reville Alfred Hitchcock

Alma Reville e Alfred Hitchcock

Alma e Alfred è una delle storie che mi è piaciuta di più. Forse per il fatto che ho sempre trovato sorprendente Hitc

Alfred Hitchcock è, come noto ai più, è un regista molto famoso e apprezzato. I suoi film sono ricchi di situazioni all’apparenza normali che poi si trasformano in oscure, paurose. Tutto grazie a musica paurosa, effetto vertigo e a un uso sapiente delle luci.

Questo normale che si tinge di paura è molto simile al carattere stesso di Alfred. Persona all’apparenza normale, ma con profondi lati oscuri. Certo pensandoci bene chi non ce li ha? 😊

Comunque, dalla descrizione di Alessandro D’Avenia lo stargli accanto significava dialogare questa duplice parte di lui. Era una sorta di prezzo da pagare per vivere accanto a una persona fuori dal comune.

Alma aveva saputo tessere dei legami d’amore con questo lato oscuro, facendolo evolvere, trasformandolo. Riuscendo a tirar fuori risorse che nemmeno Alfred Hitchcock, probabilmente, pensava di possedere. Gli artisti sono una miniera d’oro. Hanno bisogno di qualcuno che sappia tirar loro fuori le pietre preziose

Il sogno o i sogni

Questo credo possa essere il lato bello dell’amore. Il loro amore, infatti, era profondo, pieno di disperato desiderio di realizzazione, di raggiungimento del proprio scopo ultimo: esprimere l’estro geniale nelle vesti di qualcosa che potesse essere apprezzato dai più. Da un pubblico ampissimo.

Però, entrambi avevano questo sogno. Anche Alma aveva delle doti artistiche. Avrebbe voluto farle esplodere. Ma mentre lei riuscì a estrarre le pepite d’oro da Alfred, Alfred non cercò mai di fare lo stesso con la miniera che si trovava all’interno di Alma.

Quindi, c’è qualcosa che non mi quadra più. Alma ha sacrificato il proprio sogno per Alfred. Ha scelto di “rinunciare” a qualcosa di suo per lui. Nella loro storia, fu lei, con la sua intelligenza, il suo canto, la sua bellezza a diventare indispensabile fonte di salvezza e successo.

Vero è che lo corteggiò fin dal principio, immolandosi per amore, rinunciando così a parte del proprio sogno. Quindi, possiamo pensare che sia una scelta voluta.

L’amore nella storia di Alma e Alfred

Questo può essere considerato amore? Significa amare se implica una rinuncia al proprio sogno come successo ad Alma?

Alessandro D’Avenia individua in questo passaggio la dichiarazione d’amore di Alfred ad Alma:

Alfred non ricevette mai l’Oscar come regista, ma quando gli diedero il premio alla carriera dell’American Film Institute, a sessantanove anni, ti rese giustizia dicendo: “Lasciatemi ricordare per nome solo quattro persone che mi hanno dato il massimo affetto, stima, incoraggiamento, e costante collaborazione. La prima delle quattro è una montatrice, la seconda è una sceneggiatrice, la terza è la madre di mia figlia, Pat, e la quarta è la cuoca capace di miracoli mai compiuti in una cucina casalinga. E si chiamano tutte Alma Reville”. Il segreto di cinquantaquattro anni di matrimonio e più di sessanta film è tutto qui. Il suo Oscar eri tu, miglior autrice non protagonista della vostra storia.”

In questa storia Alma sembra così aver abdicato a tutto per Alfred. Lo ha amato. Lo ha aiutato nel suo lavoro e, contemporaneamente, ha retto la famiglia. Questo gesto finale di Hitchcock le restituisce, in parte, quel che ha sacrificato.

Ne è valsa la pena per Alma? Alma è stata realmente felice di aver rinunciato al proprio sogno? All’uso dei propri talenti? Cosa avrebbe potuto fare se avesse deciso di dedicarsi a se stessa e non ad Albert?

Riflessioni sull’amare

Non so rispondere a queste domande. Quel che mi ha stupito è vedere quante persone hanno realizzato nella vita qualcosa di speciale, artistico costruendo rapporti personali non bilanciati. Come se realizzazione e amore fossero in contrasto. A un certo punto, è come se la vita ci obbligasse a scegliere.

Nel raggiungere la realizzazione professionale, a volte artistica, la coppia può entrare in crisi, perché sembra impossibile la realizzazione contemporanea di entrambe le parti. C’è sempre uno dei due che deve in qualche modo sottostare alle esigenze e ai sogni dell’altro. Rinunciando.

A volte, chi rinuncia alla propria parte di sogni, decide di reggere la famiglia, altre volte si pone da musa ispiratrice, diventando oggetto d’amore. Altre volte soffre in silenzio, accumulando risentimenti. In tutti i casi casi, il rapporto sembra impari.

Non ho trovato nelle storie di Alessandro D’Avenia, nessun esempio di rapporti di reciproca realizzazione. Forse quello di Alma è uno dei casi più dolci, dove Alma riceve il suo Oscar grazie alle parole di Alfred Hitchcock che la ringrazia.

Forse le uniche storie un po’ più a lieto fine sono quelle alla fine del libro. Raccontano di possibili riequilibri che avvengono dopo una fase di allontamento. Quindi, anche per D’Avenia, in un modo o nell’altro ci potrebbe essere speranza.

Non abbastanza da fargli decidere di trovare una dolce metà però (sembra essersi dichiarato scapolo per scelta 😊).

Equilibrio vita privata e lavorativa

È dunque impossibile raggiungere una reale soddisfazione da un punto di vista professionale e familiare in coppia? O si può ma la nostra attenzione è solo troppo concentrata dove questa reciproca soddisfazione non si è manifestata?

Mi pongo questa domanda anche nell’ottica della parità dei sessi. Perché, all’interno di queste storie, ho visto davvero poca di parità. E, questo aspetto, mi spaventa molto. Sembra quasi una situazione impossibile da raggiungere.

Oppure è possibile avere coppie dove entrambi sono realizzati sia in famiglia che nel lavoro? O il solo sperarlo è un’illusione che ci spinge ancora di più verso l’infelicità? Come possiamo permettere questo mutuo compimento senza che la coppia scoppi?

La storia di Marco e Anna

Nella storia tra Marco e Anna, all’interno del libro di Fabio Volo, questo è il punto. Entrambi non riescono, dopo anni di amore e danza reciproca a realizzare contemporaneamente famiglia e vita professionale.

Il sistema di aspettative della nostra società vuole che due persone che si amano vadano a vivere insieme. Poi si sposino. Infine, abbiano figli.

Nella tradizione, l’uomo si realizza portando il “dinero”, mentre la donna si realizza reggendo la famiglia. Così funzionava in molte delle società antiche. Ma ci sono esempi in antropologia dove i ruoli sono invertiti. Le Amazzoni sono un ottimo esempio di rapporti decisamente ribaltati. 😊

Non conosco, invece, esempi di famiglie equilibrate. Dove padri e madri riescano a raggiungere un equilibrio di realizzazione da entrambe le parti. Di famiglie felici sì, ma di famiglie dove entrambi abbiano potuto realizzare in modo completo il proprio sogno professionale e familiare. No.

Forse in nord Europa. Nel caso, vorrei poter spiare nelle loro vite per capire come facciano.

Nella mia esperienza personale, fatta di tutte le coppie di cui ho sentito parlare, svolgendo l’attività di coach, moglie e marito, debbono fare delle scelte. Poche riescono a farle considerando le esigenze di entrambi.

Nella testa e nel cuore di ognuno di noi, esiste il piacere di realizzare i propri talenti, i propri sogni. Come esiste il piacere di diventare genitori, mettere su famiglia.

È possibile trovare un modo per rendere felici e realizzati entrambe le parti della coppia?  O è una chimera che mai e poi mai si potrà realizzare?

Separazioni e aspettative

Forse, visto l’aumento del numero delle separazioni, la risposta è no. Oppure, non sappiamo ancora quale sia la chiave per dare equilibrio alle coppie. Allineando le aspettative personali e di coppia, molte separazioni di cui ho conosciuto entrambi i protagonisti sarebbero state scongiurate.

Lo scontro titanico di aspettative, spesso non dichiarate, genera risentimento reciproco. Ciascuno non trovando felicità nello spazio di relazione comune, la cerca, attivando un sistema di pretese e rinunce reciproche difficilmente sostenibile nel lungo periodo.

Attivare un sistema di pretese per quanto sembri l’unica strada per ottenere un qualcosa, è foriero di sicura infelicità. Pretendere qualcosa significa perdere completamente la capacità di vivere la naturalezza del rapporto e assaporarsi ciò che nel suo svilupparsi può avvenire.

Non è facile capire se una cosa pretesa sia fatta spontaneamente o per paura delle possibili conseguenze di una pretesa non soddisfatta. Questa incomprensione riduce drasticamente la soddisfazione relazionale sia di chi pretende sia di chi riceve la pretesa.

Le famiglie e l’interpretazione della coppia

Molto di ciò che ci accade, dicono gli psicoterapeuti, dipende dall’influenza delle nostre famiglie di provenienza, dai loro equilibri/disequlibri, vissuti dalla primissima infanzia. I bambini crescono all’interno di questi equilibri trovando il proprio posto nel mondo, identificando dei copioni che poi coltiveranno.

Ogni persona attiva i propri copioni durante tutta la vita, anche nella propria coppia, in modo del tutto inconsapevole. Ce ne rendiamo conto quando riusciamo a percepirci da fuori e riconosciamo il nostro bambino che in quelle dinamiche ha trovato la propria salvezza a suo tempo.

Il problema sorge quando i sistemi in cui siamo cambiano e il nostro copione non è più aggiornato. Andrebbe scaricata la nuova versione adatta per il nuovo sistema. L’essere umano, però, non funziona come un sistema Android. Deve programmare il proprio esistere in modo autonomo. Non basta scaricare una versione aggiornata del sistema.

L’aggiornamento o cambiamento di un copione è cosa tutt’altro che facile … Infatti, a volte può essere utile l’aiuto esterno 😊

Mi domando quante delle storie in cui mi sono specchiato, quelle scritte nei libri, quelle delle persone che giornalmente conosco, scaturiscano da copioni inefficaci. Mentre me lo domando, penso a quanto ho da scoprire su me e sul modo di interpretare le situazioni che derivano dal mio mondo passato.

Mettere in dubbio i punti di vista

Quando si mette in dubbio il proprio punto di vista e si scoprono i legami con il passato, la prima sensazione che si ottiene è di smarrimento. A me personalmente è venuta fuori della rabbia repressa. La situazione non migliora velocemente, perché può generarsi paura, a volte angoscia, poi …

Poi, fortunatamente, non tutto è così negativo. Può nascere una profonda curiosità che trasforma la paura in coraggio. La tristezza in gioia. E, magari, la scoperta dei meccanismi che ci guidando da dentro ci libera dai cliché che abbiamo vissuto come dogmatici e ci rende disposti a scoprire ciò che realmente vogliamo e siamo.

Grazie a questo viaggio interiore possiamo ritornare goderci il nostro io interno, il nostro bambino felice che sente di saper gestire le situazioni. E non perché abbia scoperto il copione giusto. Non credo che esista. La persona diventa felice, secondo me, quando sente di avere tutti gli strumenti per cambiare il copione quando si trova immersa in un mondo diverso.

La coppia è un mondo nuovo per le persone ed è per questa ragione che può causare l’attivazione difensiva dei copioni più intimi. Scoprire il proprio copione può decisamente permetterci di riappropriarci della nostra vita, dei nostri desideri più profondi, quelli che non dipendono dagli altri ma da noi stessi.

Questa nuova condizione forse può permettere alle persone di riunirsi e riequilibrare i rapporti. Non significa che chi si è diviso possa tornare insieme, non significa che ci si debba d’altro canto lasciare. Tutto è in evoluzione.

Significa solamente, per me, che possiamo finalmente prenderci le responsabilità di ciò che abbiamo fatto e stiamo facendo, riconoscendo la nostra parte nei fatti che ci sono accaduti, la nostra interpretazione che oggi non è più frutto di fattori inconsci ma di scoperte illuminanti.

Conclusioni

Conclusioni e riflessioni finali

Magari sembra poca roba. Siamo, spesso, abituati a pensare che raggiungere l’obiettivo sia l’unica via per valutare ciò che ci accade. In questo caso, invece, il successo c’entra poco con cosa decideremo di fare.

A volte, rimanere insieme può funzionare, altre volte salutarsi è meglio. In entrambe le scelte esistiamo noi stessi come persone e i nostri modi di prendere decisioni.

Essere consapevoli di chi siamo, delle nostre parti belle, dei nostri lati oscuri, può liberare una sorta di felicità. E, dare spazio alla nostra arte, alla nostra realizzazione. Qualunque essa sia. Fare la mamma, diventare giornalista, fare il clown dottore, …

Divenire consapevoli rende possibile una magia: possiamo finalmente prenderci in giro per chi siamo, smettere di aver paura di sentirci nudi in pubblico con i nostri difetti esposti senza vergogna.

Credo che più che un punto di arrivo sia un percorso di scoperta. Non so nemmeno quanti difetti abbia con cui non mi sono ancora scontrato, perché nessuno ha avuto il coraggio di farmeli notare 😊.

Un percorso di scoperta, fatto insieme con il proprio partner, marito e moglie, può essere anche meglio perché potrebbe rendere più facile il dialogo all’interno delle coppie. Sono convinto che andrebbe insegnato fin da bambini.

Un po’ come una malattia esantematica, prima sperimentiamo la scoperta delle nostre paure e prima possiamo superarle.

Più tardi scopriamo la necessità di dover riconoscere chi siamo, più forte sarà il trauma da affrontare per liberarci dell’equilibrio costruito per sopravvivere alle nostre famiglie quando eravamo piccoli. Sapere di avere un copione e di poterlo cambiare ci permetterà di vivere fino in fondo le famiglie che creeremo.

La forza naturale dei cambi di prospettiva

Non a caso, questi cambi di prospettiva, si fanno spazio in modo autonomo quando avvengono dei traumi più importanti, sofferenze quali malattie o tragici abbandoni. Perché è, in questi casi, che tutto può essere messo in discussione in modo profondo.

Davanti a questi pensieri, mi viene da concludere che sta alla persona prendere in mano la consapevolezza della propria vita e trasformarla nel proprio viaggio. Artistico per i personaggi citati da Alessandro D’Avenia, familiare e lavorativo per Anna e Marco.

Forse, se le muse, ispiratrici degli artisti, avessero partecipato a un percorso di scoperta del proprio copione, avrebbero potuto esprimere anche la loro arte, realizzandosi anch’esse nel loro campo. Così non avrebbero potuto vivere non esclusivamente della luce riflessa dell’artista a cui hanno dedicato la vita.

Nessuna storia può essere considerata una storia d’amore se uno dei due non raggiunge quel che cerca nel proprio cuore. Questo è quello che ho scoperto scrivendo questo articolo.

Ovviamente, adesso, qualcuno potrebbe obiettare che, se avessero fatto questi percorsi di consapevolezza, tutti questi artisti non li avremmo mai avuti. Chissà. Forse.

Io voglio pensare che, invece, avrebbero potuto produrre opere di successo in modo differente e che, invece, avremmo potuto avere il doppio degli artisti da leggere, ascoltare, guardare. Perché le muse avrebbero finalmente potuto esprimere il proprio potenziale.

Io sono per questa seconda possibilità, anche se gli studenti potrebbero non essere così concordi e contenti di questa possibilità, ma questa è un’altra storia 😊

 

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