Il bordo vertiginoso delle cose (e soprattutto dell’apprendimento)

Il bordo vertiginoso delle cose (e soprattutto dell’apprendimento)

Il bordo vertiginoso delle cose - copertina

Quanto un libro di lettura può insegnarci?

Quanto le storie che si intersecano sullo sfondo possono tenere viva la fiammella dell’imparare qualcosa di nuovo?

Quanto un libro può trasmetterci emozioni, buone pratiche e nuovi punti di osservazione?

Introduzione

Gianrico Carofiglio trova sempre le parole più efficaci per sedurmi, inchiodarmi alla sedia dalle prime pagine. Mi fa innamorare dei personaggi, delle loro debolezze, dei loro talenti. E, così, seppur stanco mi muovo tra una pagina e l’altra dribblando il sonno.

Lo fa con garbo, con gentilezza, con preparazione. Il suo scrivere, infatti, è ricercato. Non parlo solo della storia, parlo dei concetti, delle sfumature emozionali che vengono trasferiti sia nella storia che guida il romanzo, sia sullo sfondo dove a volte i passaggi possono sembrare secondari.

Qualcuno potrebbe pensare che siano solo fatti casuali. Ma, per me, non lo sono. Non ne ho le prove, non conosco di persona Gianrico Carofiglio, ma sento che questa ricercata presenza di qualcosa di importante seppur laterale sia più centrale di quanto si possa pensare.

L’inizio della storia

Enrico ama scrivere. Da quando è piccolo, scrive. Da prima che gli regalassero la sua macchina da scrivere. Un talento che si manifesta in modo quasi dirompente. Lo costringe a stare nella sua stanza a fantasticare e lo distoglie dagli sport. Lo sport che piace al fratello, al papà, ai bambini, cosiddetti normali 😊

Il suo sogno è quello di diventare scrittore.

Il libro comincia da un articolo di giornale. Enrico legge di una sparatoria avvenuta a Bari, sua città natale. Sbianca e comincia il suo personale ritorno alle origini.

Prende un treno e si precipita da Firenze, dove vive facendo il Ghost Writer (scrive per conto di altri autori) a Bari, dove abita il fratello e dove ha vissuto tutta la sua infanzia. Il luogo dove sono cominciati i suoi sogni.

Il viaggio e il suo peregrinare per Bari da turista gli permette di rivivere, attraverso nuovi occhi, i ricordi del passato. Le paure, le difficoltà, le scoperte che lo hanno portato a quello che oggi è.

Un autore a metà. Un artista della parola capace di scrivere un’opera prima di grande successo e di perdere immediatamente dopo la vena poetica e ritrovandosi così a vivere scrivendo libri per altri.

Punto di vista

Concetti laterali, nuove prospettive

Non vi racconto altro di Enrico, perché potrei farvi perdere la voglia di dialogare con l’opera di Gianrico Carofiglio. La storia di per sé può colpire per la profondità con cui si riesce a entrare nel carattere del protagonista e delle persone che interagiscono con lui.

Quello che, invece, mi va di condividere con voi è l’elemento laterale. L’argomento che sembra essere relegato sullo sfondo, ma che per certi versi propone una visione netta del mondo che vorrebbe Gianrico Carofiglio: la scuola.

All’interno di una classe del liceo classico, tra ginnasio e liceo. Una scuola che già all’epoca era considerata spesso noiosa e non coinvolgente incontra la forza dirompente di una neo professoressa, una supplente, Celeste, capace di rendere viva la filosofia.

Un metodo celestiale

Celeste riesce a conquistarsi e rapire l’attenzione dei propri studenti attraverso la sua capacità di:

  • Essere autentica, dimostrando con l’esempio ciò che vuole condividere
  • Far riflettere attraverso l’uso di domande aperte (Per domande aperte intendiamo tutte quegli interrogativi che cominciano con “Chi, cosa, come quando, perché, come mai, che …?”.
  • Trasferire concetti in modo semplice e chiaro
  • Applicare i concetti alla realtà quotidiana

Essere autentica, dimostrando con l’esempio ciò che vuole condividere

Celeste, durante la sua prima lezione, dopo essersi presentata, fa l’appello e, dopo qualche istante, ripete gli oltre venti nomi a memoria senza alcuna difficoltà.

Questo fatto genera stupore tra gli studenti che si domandano dove sia il trucco.

Ma Celeste chiarisce subito:

«Non li avevo imparati prima. Vi ho mostrato questo piccolo gioco con la memoria per introdurre l’argomento della lezione. Il professor Segantini – che è stato anche mio professore, qualche anno fa – mi ha detto che siete arrivati ai presocratici. Il prossimo argomento sono i sofisti. Ho imparato i vostri nomi usando una tecnica che per la prima volta fu messa a punto dai sofisti e della quale vi parlerò

Far riflettere attraverso l’uso di domande aperte

Quando introduce da dove nasce la Sofistica, Celeste comincia in questo modo:

«Il padre della sofistica – anche questa una parola che nei secoli si è caricata di significati negativi – fu Protagora, cui si deve la celebre massima: l’uomo è misura di tutte le cose. Secondo voi cosa significa?»

Nessuno degli studenti, in realtà, rispose. In molti, Enrico compreso, avrebbero voluto provarci. Si sentivano incuriositi, stupiti, disorientati. Non capitava spesso di essere coinvolti in questo modo durante una lezione.

E la cosa non dispiaceva affatto. Anzi. Era una bellissima sensazione e teneva tutti sugli attenti. Senza chiederlo.

Encomio dei sofisti

Trasferire concetti in modo semplice e chiaro

Qui di seguito, Celeste cerca di chiare il concetto di retorica, riabilitando la posizione dei Sofisti, spesso bistrattata dai libri di filosofia:

«I sofisti sono i fondatori della retorica. Questa è una parola con una cattiva reputazione, oggi. La si associa all’idea di fare discorsi vuoti, ingannevoli e pomposi.

Quando oggi si pensa alla retorica si evoca un’idea di menzogna e doppiezza ma, nella corretta accezione del termine, la retorica è la tecnica di concepire discorsi persuasivi e di perseguire la verità con il mezzo dell’argomentazione.

L’insegnamento della retorica, che i sofisti furono i primi a praticare nell’Atene di Pericle, includeva l’insegnamento delle tecniche per imparare a memoria i discorsi e dunque pronunciarli con più efficacia

Infine, per consolidare il concetto di retorica per i Sofisti, Celeste sfida la classe parlando della soggettività dell’etica.

All’interno dell’aula qualcuno la sfida, dicendo che l’etica non può che essere fatta di comportamenti oggettivi quali il “non uccidere”.

Per rispondere a questa provocazione (dialettica, non aggressiva), Celeste dice:

«Sì e no. Nelle antiche civiltà triviali la regola di “non uccidere” vale per i membri della stessa tribù, ma non per gli altri. Uccidere e spesso anche mangiare l’appartenente a un’altra tribù è non solo consentito, ma anche apprezzato. Stando alle loro regole.»

Lo stesso studente a quel punto ribadisce la propria posizione dicendo che “sono selvaggi primitivimentre il nostro mondo è civiltà (diciamo che sarebbe facile confutare oggi questa tesi, pensando ai bombardamenti che facciamo in giro per il mondo ☹)

Enrico, appassionato da questo scontro dialettico, a quel punto si inserisce dicendo:

«Non si può dire che violino una legge morale se non ne conoscono l’esistenza. Voglio dire: se per loro non esiste la regola non uccidere ma solo non uccidere i membri della tua tribù si potrà dire che fanno qualcosa di male – cioè che violano la loro morale – solo se uccidono un membro della loro tribù»

Celeste, a quel punto, spiega in modo semplice la posizione dell’epoca greca:

«La parola etica nasce con Aristotele ma i temi etici esistono nella cultura greca da molto prima. Discussioni di tipo morale sono presenti nei poemi omerici, nella tragedia e diventano apertamente filosofiche proprio con i sofisti.

Prima di loro la questione del giusto e dell’ingiusto veniva risolta in modo semplice. Giusto era quello che stabilivano le leggi dello Stato dettate dagli dèi, ingiusti i comportamenti che si ponevano in contrasto con quelle leggi.

I sofisti però, attraverso un’indagine che oggi definiremmo sociologica, mettono a confronto le varie leggi dei diversi Stati e scoprono che spesso ciò che è giusto per uno Stato non lo è per un altro e viceversa.»

Interessante punto che ancora oggi, a quanto pare, non viene compreso.

Applicare i concetti alla realtà quotidiana

Veniamo all’ultimo punto utilizzato da Celeste durante il suo stile di insegnamento.

Celeste, dopo aver chiarito il significato di Etica, vuol far comprendere ai propri studenti la sua applicabilità alla vita. Per questa ragione, chiude la lezione dicendo:

«L’idea è che la cosiddetta realtà oggettiva appare diversa a seconda dei singoli individui che la percepiscono, la interpretano e poi la raccontano.

Se all’uscita da scuola qualcuno vi intervistasse e vi chiedesse cosa è successo in questa lezione, ognuno darebbe una versione diversa.

Non del tutto diversa, è ovvio, ma ognuno di voi racconterebbe dei particolari e ne ometterebbe altri; qualcuno sarebbe in grado di ripetere quello che ho detto, qualcuno invece no; qualcuno esprimerebbe un’opinione favorevole, qualcuno contraria.

Ogni racconto sarebbe vero, senza però contenere tutta la verità di quello che è accaduto. È chiaro questo concetto?»

«La verità non è qualcosa che si intuisce e si mantiene per sempre, è il risultato della discussione. In ogni punto di vista ci sono elementi condivisibili ed elementi da rifiutare.

Se pensiamo che una tesi – la nostra – contenga tutto il bene e le altre tutto il male, ci precludiamo la possibilità di progredire.

Il grande merito dei sofisti – offuscato in secoli di storia della filosofia in cui sono stati diffamati e svalutati – sta nel riconoscimento del potere del linguaggio, della sua capacità di produrre la conoscenza. Senza linguaggio non esiste conoscenza.

Le idee esistono solo se abbiamo le parole per nominarle e descriverle.»

Conclusioni

Sono innamorato di chi riesce a trasferire conoscenze e competenze in modo chiaro ed esplicito. Celeste, all’interno di questo libro, riesce nell’intento di coinvolgere gli studenti e di farli riflettere.

Le sue nozioni così germogliano e si autoriproducono nel terreno fertile di giovani menti quali quelle di studenti di 2° e 3° superiore.

Celeste, infatti, utilizza un modello che mi ricorda molto la metodologia di facilitazione esperienziale che tanto mi è cara:

  • Inizia da esempi concreti (il suo per primo, l’arte di ricordare a memoria attraverso la tecnica dei loci),
  • Si esprime tramite domande di riflessione che stimolano la condivisione di opinioni (ad esempio, cosa ne pensate?),
  • Fornisce le teorie in modo semplice e diretto (la storia della retorica nei sofisti)
  • E chiude facendo applicare l’apprendimento in un contesto reale e pratico (una sorta di spinta all’azione o messa a terra)

David Kolb - Ciclo di apprendimento

Il vantaggio che ritrovo nel testo e che osservo anche nelle aule che utilizzano questa metodologia è la capacità di stimolare tutti i canali di apprendimento, riuscendo così a toccare le corde di qualunque possibile discente.

Spero un giorno di poter chiedere a Gianrico Carofiglio se tutto ciò sia stato frutto del caso o come penso io di intuizioni, studio e consapevolezza.

Spero di avervi fatto venir voglia di leggerlo e di scoprire la forza di quanto nel suo libro sembra stare sullo sfondo.

Buona lettura!

Fabio

#Connectance # LearningBySharing #ApprendimentoEsperienziale

 

 

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