ACTractive Learning: come scoprire e valorizzare i talenti

Scoprire talenti_3

Anni fa, precisamente nel 2009, decisi di cambiare maglia. Ero stato dipendente per alcuni anni in una azienda e avevo voglia di riorientare la mia vita lavorativa. Chi mi ha conosciuto quando ero all’interno di questa realtà multinazionale sa che il mio voler cambiare non era per nulla connesso con la realtà in cui stavo. Tuttora, mi sento affezionato a quel luogo e, soprattutto, alle persone che vi abitano. Avevo voglia di altri stimoli, connessi con quelli che chiamo i miei obiettivi nobili. La mia bussola interna spingeva perché mi occupassi dei talenti. Ossia, quelle cose che le persone amano fare e in cui riescono particolarmente bene. E non volevo farlo all’interno di un’unica realtà. Mi piaceva l’idea di spaziare.

                Forse, questo amore era nato anni prima, ai tempi dell’inizio delle superiori. I quattordici non sono stati anni semplici. Adolescenza, corpo che si trasforma e non sempre come ti immagini, voglia di dimostrare il proprio talento, anzi i propri talenti, mentre invece si fa fronte alle prime sconfitte cocenti. Amori non corrisposti e la realtà vista con un occhiale bianco/nero. Avrei avuto bisogno di qualcuno che dall’esterno mi desse una mano a capire chi fossi. Ma che non fosse interessato a me per ragioni personali, non mi serviva l’attenzione di un professore perché la vedevo connessa con la sua materia (salvo in qualche caso). Nemmeno quella dei miei genitori. Non mi potevano capire in quel momento cosa stessi provando e il loro obiettivo era che io andassi bene a scuola. Quello era il mio compito per raggiungere il loro obiettivo per il mio bene. Nemmeno al mio allenatore di calcio. Lo sport per lui era farci giocare tutti a rotazione senza bisogno di creare percorsi e sviluppo del potenziale differenziati. L’allenamento consisteva nel farci giocare e… basta. Addirittura l’esperienza scout in quel preciso momento venne a mancare. Il nostro capo tradì in diverse occasioni il rapporto di fiducia con noi del reparto e dopo svariati tentativi di comunicazione finiti a vuoto, decisi di lasciare.

Scuola e pochi stimoli

In questo sistema, per me complesso, ho avuto grandi difficoltà a trovarmi. Ricevevo feedback distonici. A scuola sembravo imbranato, timido e scostante. Nella mia vita personale, sapevo giocare, relazionarmi in modo gentile ed educato, in vacanza addirittura riuscivo ad essere travolgente e entusiasmante. Ma chi poteva essere il vero me? Forse tutti o forse nessuno. Chi lo può dire? Forse non ero preparato per affrontare sfide in alcuni luoghi, come la scuola, e allo stesso tempo ero forgiato per altre esperienze, come quelle estive di puro gioco e divertimento. Perché non ero in grado di utilizzare i miei talenti in tutti i luoghi? Cosa mi impediva di sfruttarli? Cosa avrebbe potuto darmi una mano?

                Oggi mi pongo queste domande perché ho fatto un percorso di consapevolezza. All’epoca, mi davo esclusivamente delle etichette che mi impedivano di vedere i fatti sotto una luce differente, permettendomi una possibilità maggiore di scelta. In tutti gli orali non riuscivo a parlare, se non con forte insicurezza. Addirittura in matematica mi riuscivo a salvare grazie allo scritto. E l’insegnante spesso, scherzosamente (non sempre forse :-)), mi diceva: “Non capisco come tu abbia fatto a risolvere tutto. Meno di così non posso metterti. Ma rimango stupita, visto che non riesci a spiegarmi come ci arrivi”. Nella mia testa le spiegazioni c’erano, sapevo gli assiomi, il teorema di Leibniz, il perché dei limiti e l’importanza degli integrali… Perché non riuscivo a dargliele? Il problema era convincermi che fossi in grado di dirgliele in modo chiaro, non facendomi influenzare dal suo sguardo giudicante e svalutativo (non credo che l’avesse, ma io lo percepivo in questo modo). Avrei avuto bisogno di fiducia e di credere che ce l’avrei fatta in un modo o nell’altro. Il problema era riuscire a canalizzare la mia mente immaginativa, a volte confusionaria, in uno schema che fosse facilmente intellegibile e di semplice fruizione. Come fare?

                Ebbi la risposta a questa domanda anni dopo. Stavo completando un percorso di specializzazione sulla formazione e mi imbattei con il personaggio di David Kolb (chi si occupa di esperienziale lo conosce e a volte lo ribattezza Zio Kolb). Scoprii che il mio modo particolare di approcciare l’apprendimento era riconducibile a un metodo e che la sola consapevolezza del metodo mi avrebbe potuto guidare nell’affrontare le sfide in modo diverso e magari più piacevole (riuscire a cogliere le sfide vincendole mi piace molto di più, non so a voi :-)). Infatti, ogni persona apprende le informazioni, le tecniche e le teorie mixando 4 elementi di base:

  • Esperienza concreta
  • Osservazione riflessiva
  • Concettualizzazione astratta
  • Sperimentazione attiva

In parole, forse più semplici, o più vicine al mio modello preferenziale di apprendimento, ogni persona riesce ad imparare raccogliendo informazioni utili attraverso un continuo confronto tra le novità che di giorno in giorno si affrontano e la propria esperienza precedentemente acquisita (esperienza concreta) e le teorie che si leggono sui libri, su internet, nei tutorial o a scuola (concettualizzazione astratta). A questi due approcci, presenti entrambi in ciascuno di noi, ma utilizzati con frequenza diversa, vanno aggiunti due modi per processare le informazioni acquisite attraverso le esperienze passate o attraverso le teorie. A volte, l’uso e la relativa trasformazione avviene con le azioni, sperimentando (Sperimentazione Attiva), altre volte, invece, è la riflessione, la messa in discussione e l’immaginazione a rendere probabile e reale l’apprendimento (Osservazione Riflessiva). Nella realtà pratica, ciascuno di noi, in modo diverso, percorre ciascun elemento. È il tempo che dedichiamo a ciascun passaggio a differenziarci gli uni dagli altri. C’è chi arriva subito all’azione e chi si ferma in riflessione per maggiore tempo e arriva all’azione solo dopo.

David Kolb - Ciclo di apprendimento

Ecco finalmente una chiave di lettura semplice per comprendere ciò avevo vissuto a scuola. Non ero in grado di comprendere il mio potenziale, perché vivevo lo scontro tra il mio stile di apprendimento, fatto di esperienze e sperimentazioni (sì, lo so mi comporto come un accomodatore.. Che ci posso fare? :-)) e lo stile educativo scolastico, fatto di concetti e analisi, quasi mai connesso con azioni pratiche. Ed è per questa ragione che l’università che ho fatto mi ha dato una grossa mano a ritrovarmi. Tutte le materie avevano tantissima pratica ed erano davvero poche le situazioni in cui non capivo il perché di ciò che stavo leggendo. Ma come aiutare chi come me non si trova compreso nella scuola ordinaria e dargli lo spiraglio di qualcosa di diverso? Un mondo dove anch’egli possa divertirsi imparando e valorizzare i propri talenti?

Il mio compito da lì in avanti diventò sempre più chiaro. Volevo (e voglio tuttora anche perché il percorso di sensibilizzazione non ha risultati immediati) far evitare alle persone di vivere quel che ho vissuto io in prima persona e far toccar loro la bellezza di entrare in connessione con il proprio mondo, dove apprendere è bello, divertente e per certi aspetti “facile”. Fortunatamente, il lavoro fin qui svolto ha premiato gli sforzi e mi ha permesso di affinare il metodo insieme a tanti colleghi (ww.connectance.net) e di generare tantissimi format utili allo scopo. Abbiamo addirittura ideato un metodo che abbiamo battezzato ACTractive learning. La formazione vogliamo che sia attrattiva per tutti i partecipanti e orientata al sentirsi attivi e partecipativi. L’unico rammarico che mi rimane, a questo punto, è legato al contesto d’applicazione. Siamo stati molto abili nel affrontare questo tema all’interno del mondo del lavoro, ma siamo ancora troppo lontani dall’utilizzare queste metodologie nella scuola. Quest’anno vogliamo sia l’anno giusto. Chi vuole aggiungersi e giocare con noi?