Collateral Beauty: l’arte di essere fragili
Cosa dà senso, significato, alla nostra esistenza?
Cosa permette alle persone di giocare le proprie carte al meglio, anche quando la mano non sembra la migliore?
Ci sono percorsi di allenamento per andare oltre gli eventi che ci accadono?
Intro
In questo articolo, sarei felice di condividere l’emozione che ho vissuto intercettando due elementi distinti, ma connessi. Un libro. Un film. Due entità separate, ma allo stesso tempo legate.
Da un lato, “L’arte di essere fragili”, il libro di Alessandro D’Avenia, un professore appassionato e coinvolgente. Dall’altro, “Collateral Beauty”, un film poetico, diretto da David Frankel, ispirato al “Canto di Natale di Charles Dickens.
Alessandro D’Avenia si immagina un rapporto epistolare con il suo amico Giacomo Leopardi. Un dialogo che comincia dalle opere letterarie e arriva a toccare i giovani d’oggi e la loro infelice ricerca della perfezione. Un percorso fatto di fragilità, debolezza, ma anche speranza, opportunità e cambiamento.
La vita può essere paragonata, per certi aspetti, a una partita di poker. Non puoi sapere che carte ti toccheranno, ma se conosci le regole, è possibile fare la differenza. A Giacomo Leopardi, la vita, Dio o qualunque realtà possa essere responsabile della nostra venuta al mondo regala delle brutte carte.
Non lo dota della bellezza, una malattia in tenera età lo rende più debole dei suoi coetanei, i suoi genitori lo proteggono, relegandolo all’esclusiva attività di studio in una grandissima biblioteca. Questa scelta, però, non gli permette di connettersi con il mondo. Le quattro mura e il giardino della sua casa natale diventano così il suo regno di solitudine.
Queste carte sicuramente lo spingono verso un malessere che si legge tra le righe dei suoi scritti. Senza amici, con dei genitori che non lo capiscono, è difficile trovare serenità. Solo i due fratelli, il cielo stellato e l’arte che lo travolge dall’interno lo salvano dalla tristezza di una mano sfortunata.
Scoprire Leopardi
Come spesso condivido, non sono stato uno studente modello. Ho studiato, per tanto tempo, per sopravvivenza. Era il mio compito. E per quanto non ne capissi il vantaggio, mi era chiaro che dovevo portarlo a termine. Il mio rapporto con l’italiano, poi, era pessimo.
Immaginatevi un ring nel quale due pugili di pesi differenti si affrontino a viso aperto. Il pugile a sinistra rappresenta egregiamente il mio mondo delle idee. Muscoli ben allenati, velocità di esecuzione pazzesca.
Il pugile a destra, invece, descrive, con i suoi movimenti disarmonici e poco atletici, la mia capacità di mettere le idee per iscritto. Una lotta impari che si conclude sempre con l’incapacità del linguaggio di reggere al vortice dei pugni frutto delle idee.
Oltre a tutto ciò, Leopardi fu raccontato come un autore speciale, ma triste, pessimista. Nella mia testa, per quel poco che ero riuscito ascoltare, era diventato facilmente uno “sfigato”. Tra l’altro, come spesso percepivo me stesso durante i classici periodi di trasformazione fisica. E l’effetto di vederlo in quel modo non mi generava compassione. Anzi.
Rileggere questo personaggio storico. Questo autore. Oggi. Grazie alle parole di un professore innamorato. Mi spinge a trovare le parole per chiedergli perdono. Riscoprendo nei suoi confronti un senso di profonda gratitudine.
Ti ho letto con distrazione. Con superficialità. Mentre tu condividevi la tua arte di essere fragile in modo consapevole, la tua resilienza, io vedevo solo l’apparenza. Una fastidiosissima apparenza. Sfogavo contro di te le mie frustrazioni di adolescente incapace di amare se stesso. E, quindi, di amare gli altri.
Serendipity
Mentre stavo sfogliando le ultime pagine del libro “L’arte di essere fragili”, mi sono imbattuto nel film “Collateral Beauty”. E ho trovato diversi elementi comuni. La concomitanza di eventi conferma ancora una volta che forse il caso non esiste.
La vita di Leopardi, raccontata da Alessandro D’Avenia, cosa ha in comune con un film americano?
Probabilmente, quel che vi racconterò vi sembrerà folle. Eppure, a me è parso palese il legame filosofico esistente. I personaggi che guidano queste due opere hanno alcuni tratti comuni.
Il film si apre con la frase: “Amore, tempo e morte sono le forze motrici dell’esistenza umana.“
A sostenere questa affermazioni è Howard Inlet, il protagonista del film “Collateral Beauty”. È il messaggio motivazionale che utilizza per motivare se stesso e le persone che collaborano con lui a trovare nelle proprie azioni i propri “perché”.
E i perché dell’essere umano si possono ritrovare nella capacità di innamorarsi, di trovare il tempo per fare le cose più importanti e di tenere il più lontano possibile la morte.
Howard, Will Smith, chiede a tutti di avere chiarezza sempre del significato di ciò che facciamo. Dare un senso ai comportamenti rende tutto più facile, più bello, più vivo. Finché le cose vanno bene, tutto sembra facile.
Tante volte però la vita colpisce nel modo più imprevedibile e, anche se ci siamo impegnati tanto, magari con tutte le nostre forze, succede qualcosa che cambia completamente il nostro mondo.
La morte di un rapporto, amori che svaniscono, lontananze incolmabili, rotture insanabili, essere incapaci di gestire il proprio tempo e veder sfuggire le priorità, amori non corrisposti, la morte di una persona cara. Incomprensioni. Contrasti. Scelte non condivise. Tradimenti reali o percepiti. L’elenco potrebbe essere infinito.
È in questi momenti, quando il mondo sembra schiaffeggiarci con forza, che possiamo scoprire l’esistenza della “bellezza collaterale”. Una forma di bellezza, davvero strana. Per certi aspetti incomprensibile. E soprattutto assolutamente non logica.
La storia di Howard
Entriamo un po’ di più nel film. Howard Inlet, Whit Yardsham , Simon e Claire sono amici. Un’amicizia che nel tempo si è trasformata in lavoro. Insieme hanno fondato una grande azienda che si occupa di pubblicità e marketing.
Il lavoro va a gonfie vele, hanno trovato la configurazione perfetta. Tutto avviene in modo naturale, intuitivo. L’entusiasmo è alle stelle e nulla sembra poter rompere l’ingranaggio perfetto. Un giorno, però, le cose cambiano drasticamente. La morte si porta via l’unica figlia di Howard, Olivia. Appena 6 anni.
Howard, poco prima che Olivia se ne andasse, aveva chiesto con tutto il cuore alla morte di prendere lui al posto della figlia. Ma a nulla è valsa la sua richiesta.
Così, decide di non volere più appartenere a questo mondo così crudele. Il mondo che tanto amava lo ha tradito. Per reazione, si chiude in un silenzio assordante.
Non vuole più parlare con nessuno, ha lo sguardo spento e soffre d’insonnia. Lascia sua moglie perché non è più in grado di sostenere il dolore che gli causa ricordare la figlia, specchiandosi nella sua tristezza. I suoi amici e colleghi di lavoro non sanno più come aiutarlo. Ha spento il wireless relazionale e non sembra esserci speranza di recupero.
L’unico rapporto che decide di mantenere è epistolare. Non con persone vere, ma con le entità che hanno contribuito e stanno contribuendo al suo strazio: l’amore, il tempo e la morte.
Howard odia con tutto il cuore la morte perché non ha saputo chiudere l’affare che le aveva proposto, l’accordo che avrebbe salvato la figlia. Al tempo rimprovera di non avergli dato più spazio per conoscere la sua bimba e che, senza la sua Olivia, distrutto dalla sofferenza, quest’ultimo sembri non passare mai.
L’amore l’ha, invece, deluso, perché ne aveva conosciuto la pienezza negli sguardi di Olivia e, ora, non sa più come si possa vivere senza quella pienezza.
Il suo cuore è ricolmo di rabbia, svuotato di tutto il resto. Nulla ha più senso e la colpa è loro: non c’è nessuna spiegazione plausibile che riesca a darsi, perché il senso della sua vita era sua figlia. Ora non c’è più. Credo che la perdita di un figlio sia, a qualunque età, l’evento peggiore che possa capitare.
Infatti, anche per Howard non esiste più nulla per il quale vivere. La bellezza collaterale ancora non ha bussato alla sua porta. Probabilmente, anche se bussasse, lui non sarebbe capace di aprire. Attende solo che i suoi giorni passino in fretta senza aspettarsi più nulla dallo scorrere del tempo.
Solo un miracolo potrebbe far cambiare le cose. Le carte che ha in mano non sembrano permettergli di continuare a giocare. Fortunatamente, anche in una notte buia, a volte qualche stella spunta e illumina il cammino, lenendo le ferite e stimolando un cambio di punto di vista.
Nulla può cancellare ciò che è accaduto. Le carte che abbiamo ricevuto. Ma, con un po’ di pazienza e un po’ di consapevolezza, si può vedere oltre. Magari incontrando qualcosa che sia in grado di trasformare il dolore, qualcosa che permetta di vivere e di riconciliarsi con il mondo.
Riflessioni collaterali
Mentre guardavo il film, commuovendomi come un bambino (lo ammetto, il pianto è in grado di liberarmi), mi venivano in mente alcune delle emozioni descritte da Alessandro D’Avenia nel suo libro. Howard e Leopardi hanno ricevuto, per quanto in modo totalmente differente, delle pessime carte. Entrambi hanno avuto momenti neri. Delle notti totalmente buie.
Entrambi hanno saputo scegliere, però, di divenire consapevoli della fragilità della vita. E della loro stessa fragilità. Una consapevolezza che trasforma la vita di chi ci entra in contatto. Una fragilità che apre alla possibilità di vedere, sentire, percepire la forza riconciliatrice della “bellezza collaterale”.
Ammiro chi riesce a coglierla. Chi sa andare oltre quel che gli accade. Un po’ come hanno saputo fare sia Leopardi sia Howard, il protagonista del film. Ci potrebbero essere tanti esempi di persone che, anche al giorno d’oggi, riescono in quest’impresa.
Mi vengono in mente i clown dottori dell’associazione Andrea Tudisco che, per lavoro e per amicizia, conosco da vicino. Anche se non ho fatto il loro percorso di formazione e non pratico la loro arte, ho capito che vivono danzando con tutte e tre le entità che partecipano alla “bellezza collaterale”e imparano sulla loro pelle l’arte di essere fragili e resilienti.
Infatti, vivono l’amore per creature indifese con cui stringono rapporti speciali e privilegiati, pur sapendo che combattono contro il tempo a disposizione e convivono con la possibilità della morte. Non è, quindi, un caso che abbiano una forza trascinatrice incredibile.
Grazie Alessandro D’Avenia per avermi fatto riscoprire Giacomo Leopardi e per avermi permesso di chiedere “scusa”.
Grazie David Frankl per aver toccato un tema così complesso e controverso come quello della morte di un figlio con tatto e dolcezza.
Grazie amici clown per l’esempio che mi offrite. Dimostrate con le vostre azioni che un sano allenamento può permettere alle persone di scoprire la forza della “bellezza collaterale”, senza che debba per forza capitarci qualcosa che ci obblighi a tirarla fuori.