La prima cosa che mi colpì quando andai a vedere dove veniva prodotto il latte che bevevo ogni mattina prima di andare a scuola fu la grandiosità dell’azienda che mi stava ospitando. Avevo 8 anni e la scuola aveva organizzato una di quelle gite educative che a volte sembravano difficili da comprendere. Eppure, per me in quel momento, casualmente, ebbe un significato. Nulla di incredibile. Ero affascinato dalla grandezza dello stabilimento, dal numero di persone presenti e dalla qualità e quantità dei prodotti erogati da quelle persone insieme e da grandissimi macchinari. Tutto ciò non sapevo ancora fosse frutto di uno sviluppo organizzativo (ben riuscito). Frutto della visione di imprenditori e consulenti capaci di vedere nel prodotto latte un potenziale. Il potenziale non sta solo nella singola persona, ma nella risorsa e nel prodotto o servizio che si sta producendo e nell’organizzazione che si è strutturata. Senza troppo scomodare i grandi classici, Henri Ford, Richard Branson, Steve Jobs, è possibile accorgersi che avere visione non è una capacità che hanno tutti. O forse è meglio dire che non tutti hanno il coraggio di accoglierla, prenderla in considerazione come possibile (non vera), valutarla analizzando costi e benefici, individuando i rischi e le presupposizioni che la rendono possibile e di rendere reale ciò che nella propria mente si è sviluppato.
A meno di copiare da chi ha già vinto, colui che ha una visione investe sulla propria idea non sapendo se andrà a buon fine. Ma prendendosi il rischio di pagare i costi di un possibile fallimento. In secondo luogo, tutte queste persone che hanno prodotto novità e sviluppato organizzazioni nuove e sostenibili hanno scelto persone con cui condividere il viaggio. Siano stati consulenti, colleghi, investitori, mogli o mariti. L’essere insieme a qualcuno arricchisce il viaggio, lo rende più avvincente, più sostenibile.
Immaginiamo di essere dei giocatori di golf e di affrontare con impegno diverse sfide. Quanto può essere più efficace avere accanto un caddy che durante il giorno precedente alla gara investe tempo per verificare le distanze, il tipo di erba, le previsioni del tempo e per sistemare al meglio le mazze pulendole e lucidandole come se fossero nuove. Al di là dell’utilità del lavoro svolto, si crea un legame di fiducia profondo che permette una connessione immediata. Quasi wireless. E dove non arriva questa immediatezza c’è l’importanza del feedback, della riflessione comune sulla tipologia di mazza da scegliere. Ferro 2 o ferro 3? Passo al lato del laghetto? O mi prendo il rischio di superare la sabbia con un colpo solo? La scelta è frutto di una rara comprensione del miglior colpo che sia in armonia con il campo.
Così avviene anche nell’organizzazione, spesso si va per intuizioni, ma serve anche prepararsi ad attivare riflessioni e verifiche di processo. Lo sviluppo non è casuale. Le problematiche che si affrontano quando si è piccoli non sono le stesse di quando si è grandi. Una rete di 10 persone è diversa da una rete di 150 persone. Avere dei buoni partner può diventare un grande fattore di successo proprio come avere un caddy capace. Il confronto può generare frutti duraturi.
Ma che caratteristiche deve avere il consulente? Secondo la nostra esperienza, deve essere in grado di generare fiducia e acquisire strumenti che permettano di lavorare in sinergia con le aziende sia sul piano emotivo che cognitivo. Il change management è continuo e più lo si allena più diventa un punto di forza. Il mio lavoro, come quello di tutte le persone che hanno scelto la metodologia Connectance, è quello di conoscere, sviluppare applicare modelli di change management che permettano la realizzazione di tutto ciò. E nel farlo ci vedrete sempre sul campo a sporcarci le mani, a divertirci e a condividere esperienze.