Innovazione “entusiasmabile”​: modelli a confronto

Cosa conta di più per essere innovativi?

Le emozioni che ruolo ricoprono?

Innovazione e creatività si possono insegnare?

Introduzione

Oggi, la parola innovazione è al centro di tantissimi dibattiti. Per risolvere i problemi che ogni giorno si affrontano serve sempre più apertura al pensiero innovativo, al guardare le cose da punti di vista alternativi.

Serve non fare più quello che abbiamo sempre fatto, per dare spazio a quello che non abbiamo mai provato. Anche nel panorama di internet, abbiamo sempre più corsi di innovazione. Ci vengono poste sempre più domande che vogliono indirizzare la nostra attenzione verso questo tema:

  • Vuoi diventare più innovativo?
  • Vuoi sviluppare un Growth Mindset (mentalità di crescita)?
  • Vuoi imparare a utilizzare il design thinking o modelli ricorsivi di innovazione?

Io risponderei sempre sì, perché l’innovazione è qualcosa che mi entusiasma sempre. Da piccolo, l’idea di fare l’inventore mi affascinava. Perché sentivo quanto fosse bello vivere l’effetto “Eureka!”Dopamina allo stato puro che rende speciale quella sensazione (ecco perché le emozioni sono al centro del processo).

Ma credo che l’effetto insight (intuizione) si porti dietro anche gli altri neurotrasmettitori più famosi come la Serotonina (ci sentiamo più appetibili per il mondo se risolviamo problemi). Sentiamo una strana euforia quando iniziamo a percorrere la strada che porta verso la risoluzione, grazie all’aumento di Endorfina.

Forse, l’Ossitocina sembra entrare meno in gioco, perché spesso i momenti creativi sono vissuti come momenti individuali. Ma è anche vero che le idee che emergono vengono allo stesso tempo raffinate attraverso il lavoro di gruppo ed entrare in contatto con altre persone stimola proprio l’ossitocina.

Tutto ciò spiega perché ero troppo entusiasta quando mi trovavo davanti a un problema. Sentivo fisicamente un’energia dentro che mi diceva che potevo risolverlo. Non sempre ci riuscivo (spesso sì e quella piacevole sensazione rimaneva per un po’), ma sentivo dentro un senso di possibilità.

Fortunatamente, le esperienze accumulate durante l’infanzia (poco utili in verità, per la mia carriera scolastica) hanno sortito miglior fortuna durante il percorso universitario dove un po’ di creatività e un atteggiamento aperto alle novità mi hanno regalato maggiori soddisfazioni.

Perché è importante l’innovazione?

Correva l’anno 1999 e in università, presso lo IULM di Milano, frequentavo lezioni per me davvero molto interessanti. Fin dai primi esami eravamo esortati a studiare chi pensava fuori dagli schemi per comprendere meglio i clienti o ideare pubblicità nuove.

In sostanza, ogni professore, pur con linguaggi differenti, ci chiedeva di trovare nuove vie per fare le cose. Non ci diedero molti metodi, ma ci regalarono la possibilità di incontrare persone innovative da cui rubare il mestiere.

Per diventare esperti di comunicazione, bisognava essere capaci di innovare, perché solo l’innovazione, poteva spingere le aziende verso quelli che oggi vengono chiamati Oceani Blu (ossia quei mercati in cui sono pochi i competitor che riescono a soddisfare alcuni particolari bisogni del cliente).

Come hanno fatto gli ideatori di aziende di successo a generare trovare (meglio generare) questi Oceani Blu?

Rimasi con questa domanda in testa per tanti anni. Al di là di studiare casi di successo, dove era interessante comprendere come fossero giunti alle idee vincenti, non avevo trovato alcuno strumento o metodologia che spiegasse come funzionassi io e soprattutto come crescere nel produrre nuove idee.

Mi sembrava di essere in un vicolo cieco. Riuscivo a percepire la presenza di alcune regole, ma non riuscivo a comprendere quali fossero. Senza regole (sembra un paradosso pensando all’idea che abbiamo di creatività), non potevo crescere dal punto di vista creativo e soprattutto non potevo insegnare ad altri quel che sentivo dentro.

Per questa ragione, durante i miei primi anni aziendali feci il contrario di quello che amavo fare, riducendo magari il mio entusiasmo e focalizzandomi principalmente sui risultati che volevo ottenere. Inizia a leggere, a studiare, alla ricerca di un senso che sembrava ogni volta sfuggirmi.

Inizio del percorso di consapevolezza

Nel 2003 iniziai a lavorare in Pfizer. Incontrai un responsabile straordinario, che mi diede fiducia e mi formò su tantissimi temi manageriali. Mi fece partecipare a diversi training nazionali e internazionali. Tutti partivano sempre dal concetto che ogni persona è differente e unica.

Ogni persona utilizza meccanismi di apprendimento e scoperta diversi. Le leve di apprendimento, però, non sembravano infinite e possono essere facilmente approfondite attraverso gli studi di David Kolb (puoi guardare nella foto sotto la mia rielaborazione del modello).

Infatti, attraverso le sue parole, scoprii che la formazione esperienziale poteva attivare l’apprendimento intuitivo.

No alt text provided for this image

Non dovevo cercare solo sui libri le risposte, potevo fidarmi anche del mio intuito e delle mie rielaborazioni. Un apprendimento basato sull’idea che si capisce di più e si memorizza meglio quando nascono dentro di noi degli insight.

Questo primo aspetto mi stupì particolarmente, perché mi sentivo come se mi avessero riabilitato 😊.

Ero normale anche se non imparavo immediatamente leggendo. Ero normale se andavo per prove ed errori, ero normale se la mia mente vagava distratta passando da un’idea all’altra senza ordine  sosta. Potevo fidarmi dell’esperienza personale o di quella altrui. Non dovevo negare questa parte di scoperta.

Questa mia riabilitazione fu l’inizio della mia comprensione allargata del concetto di innovazione. Scoprire chi fossi, avere fiducia nel mio stile di apprendimento, mi fece paradossalmente leggere di più, ma con i miei tempi e modi. La scoperta poteva avvenire anche attraverso la rielaborazione di ciò che leggevo.

Importanza di incubare

Ho così approfondito gli scritti di Jung (Tipi psicologici), delle sorelle Myers e briggs (MBTI), di Andi e Andy Lothian (Insight discovery), di John G.Geier (DISC), di Marston (PDA) per cercare risposte che potessero chiarire come funzioniamo quando vogliamo attivare i nostri processi creativi.

Si tratta di modelli che partivano dalle teorie di Ippocrate nel tempo rielaborate in modo differente a seconda degli scopi prefissi. Tutti erano estremamente interessanti, molti simili (basta ruotare o invertire gli assi e gli schemi diventano sovrapponibili), seppur con gradienti di approfondimento molto diversi.

Nessun però fu in grado di dirmi chi fosse però il profilo più innovativo. Quello a cui ispirarsi per produrre soluzioni nuove. Egoisticamente, cercavo di capire se i miei tratti fossero quelli giusti, ma nessuno di questi di questi modelli sembrava darmi ragione 😊.

Per certi aspetti, la creatività sembrava più vicina ai profili della parte alta del modello di Kolb, l’area dell’esperienza concreta (tra l’altro dove mi collocavo anche io). Non riuscivo però a convincermi del tutto che fosse solo questa la discriminante di una persona capace di innovare.

Simplex Problem Solving: il ciclo dell’innovazione

Poi, finalmente, navigando casualmente su internet ho scoperto il modello di Basadur (Simplex Problem Solving). Si trattava dell’ennesimo modello di classificazione a 4 quadranti. Ma stavolta il ciclo non riguardava l’apprendimento, ma … La capacità di risolvere problemi.

Ora sì, che avevo tra le mani qualcosa di interessante. Un modello che partiva dall’idea che per generare innovazione bisogna seguire un ciclo a 8 passi:

  1. Problem finding: accorgersi dell’esistenza di problemi presenti o potenziali (impatto di un trend sul nostro mercato, a esempio).
  2. Fact Finding: raccogliere indizi, fatti che possano meglio definire il problema e renderlo palese
  3. Problem Definition: definire la situazione problematica individuando ciò che fa parte del problema e ciò che invece è da considerare un vincolo (qualcosa che non posso risolvere come a esempio il budget a disposizione)
  4. Idea Finding: generare il maggior numero di idee possibile, rovesciando paradigmi, pensando fuori dagli schemi anche rispettando i vincoli (soldi necessari, tempo a disposizione, …)
  5. Evaluate & Select: scremare le idee sulla base dei vincoli, evitando di innamorarsi di qualcosa che non è fattibile o non produce il valore necessario
  6. Plan: pianificare la realizzazione della soluzione, individuando una data di rilascio, le tappe intermedie e i requisiti di soddisfazione per ogni tappa
  7. Acceptance: creare mockup (presentazione grafica delle funzionalità di un software, di un app di un sito) e stortytelling che catturino l’attenzione di chi deve essere coinvolto nella realizzazione della soluzione, al fine di generare fiducia nelle possibilità dell’idea.
  8. Action: passare all’azione, realizzando la soluzione, monitorando il successo di ogni tappa da percorrere.

Come potete intuire dal grafico (è diviso in 4 parti colorate come quello di David Kolb), esistono 4 tipi di approcci alla creatività che vanno integrati nella generazione di una soluzione innovativa.

Kolb chiama i suoi 4 stili: DivergenteAssimilativoConvergenteAdattivo.

Basadur li chiama invece: GeneratoreConcettualizzatore, OttimizzatoreImplementatore.

Notate per caso qualche similitudine?

Innanzitutto, sono per entrambi i modelli 😊 Entrambi hanno l’esperienza in alto e il pensiero (concettualizzazione astratta) in basso.

Basadur posiziona l’Ideazione a destra che può richiamare per certi aspetti l’Osservazione Riflessiva di Kolb. Basadur inserisce a sinistra la Valutazione che significa selezionare, scegliere le idee per passare all’azione, che Kolb chiama invece Sperimentazione Attiva.

Grazie a Basadur, ho trovato la chiave per confrontare i modelli e integrarli fra loro. Ogni persona ha delle fasi di creatività e problem solving preferenziali. Qualcuno riesce facilmente a individuare i problemi, altri riescono meglio nel definirli, altri ancora, selezionano facilmente le idee, altri ancora le sanno presentare meglio.

Purtroppo, con mia somma delusione, non era il mio stile quello giusto 😊. Però, dalla metanalisi che avevo realizzato, si comprendeva in modo lapalissiano (molto evidente) che tutti gli stili erano necessari. Nessuno escluso.

Ecco spiegato perché spesso i team producono più idee vincenti dei singoli individui!

L’integrazione dei talenti qui diventa la chiave. C’è chi lavora maggiormente sul chiarimento dei bisognisull’analisi dei trend, chi, invece, sa definire al meglio i problemi, integrando i vincoli, chi sceglie meglio le idee e chi le sa presentare con maggiore efficacia.

Ecco il vero potere della diversity al di là del genere. Ogni persona mette al servizio dell’innovazione la propria diversità, imparando a lavorare bene in gruppo, senza giudicare gli altri dalla propria lente, ma sapendo valorizzare le differenze in nome dello scopo comune.

Passare dall’incubazione all’innovazione

Basadur mi ha illuminato, ma ancora c’erano delle questioni aperte. L’innovazione è un processo lungo che spesso conduce a vicoli ciechi, comportando così diversi momenti di blocco e di scoramento. Come fare a uscire da questo empasse trovando nuovi slanci vitali per accrescere la produzione di nuove vie risolutive?

Poco fa, mi è arrivato l’aggiornamento dell’app Linkedin (un social network di profili professionali). Ogni tanto succede. In automatico, il sistema aggiorna l’app, integrando nuove funzioni, risolvendo bug, …

Il mondo delle app insieme al nostro essere sempre on line ha determinato un cambiamento nei paradigmi che guidano l’innovazione. Come dicevo pocanzi produrre un’innovazione significava investire tanto denaro per realizzare qualcosa di perfetto (o almeno questa era l’intenzione) e poi metterlo nel mercato.

Il mercato funzionava un po’ come un terno al lotto. Il rischio di aver investito male il denaro era sempre dietro l’angolo. Il prodotto e/o servizio scopriva la propria forza solo ed esclusivamente nel momento del rilascio finale. Un po’ come verificare il galleggiamento di una barca solo il giorno del varo.

Oggi, invece, il paradigma è cambiato. La stretta relazione di scambio tra utente e realizzatore ha permesso un cambio operativo nel processo creativo. E tutto grazie alla tecnologia che ha reso gli scambi molto più veloci e quasi immediati.

Uno dei modelli che ha cercato di interpretare meglio questa trasformazione è il Design Thinking, nato negli anni 2000 in California (strano, no? 😊).

Si tratta di un modello ricorsivo (ossia si ripete all’infinito in un processo di miglioramento continuo), fatto di 5 step:

  1. Empathize: si tratta della prima fase del processo e serve per conoscere l’utente e comprenderne i bisogni, i desideri e gli obiettivi. Una fase di osservazione dove l’utente viene coinvolto per analizzarne le necessità e i comportamenti emotivi. Durante questa fase, chi osserva è chiamato a essere un esperto etnografo, capace di mettere da parte le proprie convinzioni e raccogliere informazioni non filtrate sull’utente.
  2. Define: dopo aver raccolto informazioni e dati, bisogna dare ordine e priorità alle problematiche osservate (secondo gli occhi dell’utente) e di individuare i vincoli da considerare in fase di risoluzione.
  3. Ideate: finalmente abbiamo davanti il problema e … Possiamo cominciare a elaborare le idee che potrebbero risolverlo.
  4. Prototype: davanti a tante idee, bisogna decidere quali prototipare, ossia realizzare in modo semplice (MVP – Minimum Viable Product), al fine di testarne le potenzialità, i difetti, le possibili problematiche in anticipo, senza aver fatto ancora troppi investimenti.
  5. Test: se siamo giunti a questa fase, significa che il prototipo è stato in piedi che possiamo iniziare la fase di test sul cliente/utente finale, raccogliendo nuovi dati, feedback, emozioni, osservazioni che saranno poi oggetto di una nuova fase di Empathize, che riattiva il ciclo.

Questo ciclo è reiterativo e potenzialmente infinito. 5 fasi che si ripetono a ciclo continuo, all’inizio più frequentemente e man mano la soluzione diventa più precisa e aderente alle esigenze del cliente più lentamente.

Non so se questo schema vi ricordi per caso qualcosa di già visto in precedenza. Non abbiamo 4 quadranti è vero. Abbiamo degli step ricorsivi che assomigliano, seppur accorpati, agli 8 step del percorso Simplex Problem solving.

Quindi, possiamo inferire facilmente che i 3 modelli (Kolb, Basadur e Design Thinking) possono essere facilmente integrati, come mostrato nella foto sottostante, dove ho rielaborato tutto ciò che ho letto, sviluppando una sintesi di tutte le informazioni in mio possesso.

Finalmente, sono riuscito a mettere insieme tutto quanto ho incubato nei miei studi per anni. Tutto sembrava disgregato, distaccato, impossibile da legare. Poi, un momento di insight, una rotazione del punto di vista, una re-visione di tutti i modelli mi ha permesso di far precipitare questo modello su una sola slide. O quasi 😊 (mancano gli 8 step, ma ci lavorerò).

Magari sarà utile solo a me che l’ho prodotto, magari può essere utile anche ad altri che come me cercano di unire tutte le esperienze per renderle coerenti con l’idea di un apprendimento olistico. Lo spero tanto, perché questo modello mi ha permesso di scoprire come massimizzare il mio potenziale creativo.

Ho imparato ad amare la mia capacità di divagare e così leggere i trend non noti, smettendo di giudicarmi, ho scoperto come allenarmi nel dare ordine e priorità ai problemi (molti si risolvono già in questa fase), ho capito il potere della scelta, dell’implementazione e della vendita delle proprie idee (qui Steve Jobs potrebbe insegnarci tantissimo).

Questa nuova consapevolezza ci permette di lavorare meglio con noi stessi e con i gruppi con cui collaboriamo. La diversity può diventare finalmente un fattore critico di successo perché inserita in un meccanismo oliato che sa darle il “giusto” spazio.

Tutto ciò rende i gruppi capaci di essere entusiasmabili e di produrre sforzi e slanci creativi altrimenti impossibili. E tutto parte dall’idea di conoscere se stessi (Socrate grazie!!!) e di guardare così in modo nuovo gli altri.

Cosa mi porto a casa

Potrei andare avanti all’infinito, parlandovi anche delle 4 lenti dell’innovazione (che possono assolutamente essere aggiunte ai modelli discussi), ma lo farò in un prossimo appuntamento, dove vorrei anche parlarvi di alcuni esempi di idee davvero belle nate da questi modelli di generazione dell’innovazione.

Preferisco per ora chiudere condividendo alcuni casi che mi hanno nel tempo colpito: Novonordisk e la Novopen, la nascita del Viagra, la rottura degli schemi che hanno reso famoso le Cirque du Soleil, l’uso degli allarmi volumetrici finalizzato all’evitare la caduta degli anziani che vivono in casa da soli.

Ognuno di questi casi ha percorso tutte le fasi necessarie per produrre innovazione.

Nel caso della Novopen (caso ampiamente discusso nel libro Strategia Oceano Blu), l’idea nasce grazie da un’intuizione prodotta durante la fase di Empathize. Le persone diabetiche infatti non avevano necessità di una insulina più pura di quanto già non fosse. Gli standard erano altissimi.

Le persone diabetiche si trovavano in difficoltà nel somministrarsi l’insulina nei momenti opportuni, perché l’idea di andare in bagno e preparare la siringa non era vissuta come piacevole (come dare loro torto 😊).

Questa scoperta fece cambiare il punto di vista dei ricercatori e così gli investimenti furono così orientati al produrre un nuovo device (strumento) capace di rendere il momento della somministrazione più piacevole. Wow!!!! Grande Novonordisk!

Il Viagra nacque grazie all’osservazione dei ricercatori che stavano studiando il sildenafil come soluzione per disturbi cardiovascolari (come l’angina pectoris). Purtroppo, non sortiva l’effetto sperato sul cuore, ma, a detta delle infermiere, provocava una vasodilatazione alquanto sconveniente che generava imbarazzo.

Il sangue defluiva verso le parti intime!!!! Sorpresa incredibile per i pazienti che si trovavano a dover nascondere erezioni involontarie 😊. Chi ha ascoltato le infermiere e i pazienti ha scoperto del valore che inizialmente era percepito solo come un … fastidioso effetto collaterale.

Le Cirque du Soleil nasce dalla capacità di Guy Laliberté (un ventitreenne) di andare oltre gli schemi ricorrenti legati al mondo del circo. Ebbe questa idea in team con Gilles Ste-Croix e Daniel Gaulthier. La loro bravura fu mettere in discussione il mercato del circo, ponendosi domande nuove, ridefinendo il problema della fruizione del circo (caso ampiamente discusso nel libro Strategia Oceano Blu).

E se il circo fosse senza animali? E se invece del tendone fosse dentro ai teatri?

Ecco alcune delle domande potenti che hanno spinto la nascita di un nuovo modo di fare il circo (nel libro Strategie Oceano Blu trovate tutta l’analisi che venne fatta attraverso lo studio della curva del valore).

Ora, tocca a te iniziare il tuo percorso personale di consapevolezza.

Come innovi? Come risolvi i problemi? Come individui soluzioni non note?

Per iniziare, ti propongo di entrare all’interno di questo link e sperimentare la rielaborazione di connectance (Ente del Terzo Settore composta da facilitatori di apprendimento) del test di Kolb:

https://forms.gle/ZKxex6MtDpDfM3sY8

Il percorso di scoperta del tuo potenziale creativo e di innovazione potrebbe stupirti e generare ancora più entusiasmo! Mandatemi i vostri feedback e fatemi sapere se anche per voi è stato bello scoprire chi siete, come funzionate da innovatori e come interagite al meglio con gli altri nel processo di innovazione.

Fatemi sapere cosa ne pensate e cosa scoprite. Dai vostri commenti potrebbe nascere nuova innovazione.

#maieutike #Connectance

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *