Abstract
In questo articolo, vi porto alla scoperta del concetto di “grammamanti”, un termine che Vera Gheno ha coniato per descrivere chi, come me, vive un rapporto profondo e appassionato con la lingua, in contrapposizione alla rigidità dei “grammarnazi”. Ho esplorato i temi principali del suo libro “Grammamanti”, riflettendo sull’amore non possessivo per la lingua, la sua natura dinamica e in continua evoluzione, e il ruolo fondamentale della lingua come strumento di connessione, espressione di identità e custode di memorie collettive.
Ho cercato di mettere in luce come i grammamanti promuovano un uso consapevole, rispettoso e inclusivo della lingua, incoraggiando un approccio che abbraccia la diversità linguistica e culturale. Mi è sembrato importante riflettere anche su come superare atteggiamenti conservatori, accettando la lingua come un organismo vivo, capace di adattarsi ai cambiamenti sociali e culturali.
In conclusione, sento che questo articolo mi ha portato a riflettere sulla responsabilità che tutti noi abbiamo nel promuovere un futuro più aperto e connesso, attraverso un uso consapevole delle parole. La lingua non è solo un mezzo di comunicazione, ma anche uno strumento potente di trasformazione sociale, capace di riflettere e plasmare la realtà in cui viviamo.
Introduzione
Oggi, voglio portarvi all’interno del libro “Grammamanti”. È un termine che Vera Gheno ha coniato per descrivere chi vive un rapporto profondo, intimo, e appassionato con la lingua. Io mi sento profondamente affascinato dalla lingua e spero che anche chi mi legge la ami.
Nel contesto contemporaneo, la lingua è spesso percepita come un terreno di battaglia tra chi cerca di preservarla immutabile e chi la vede come un organismo vivo, in continua evoluzione. Vera Gheno ci invita a considerare la lingua non come un’entità da difendere a tutti i costi, ma come un amore da coltivare e rispettare.
Essere “grammamanti” significa amare la lingua non in modo rigido e possessivo, come farebbe un “grammarnazi”, ma con la consapevolezza della sua complessità e della sua capacità di adattarsi e rispondere ai bisogni di chi la parla.
Questo amore maturo per la lingua implica l’accettazione dei suoi cambiamenti, l’apertura verso nuove parole e forme espressive, e il rifiuto di ogni atteggiamento purista o esclusivo.
La lingua, per Gheno, è un mezzo di connessione, di espressione dell’identità, e di costruzione di significati condivisi. In un mondo sempre più interconnesso e diversificato, amare la lingua significa riconoscerne la ricchezza e l’importanza nella nostra vita quotidiana.
“Grammamanti” è un invito a riflettere sul nostro rapporto con le parole e a coltivare una relazione sana e rispettosa con la lingua, capace di resistere alla tentazione del controllo e dell’ossessione per la purezza, in favore di una visione inclusiva, flessibile e amorevole.
Molte riflessioni contenute nel libro possono essere vissute come un’integrazione a quanto contenuto nella precedente opera, sempre di Vera Gheno “Potere alle parole”. C’è, comunque, una bella differenza che voglio sottolineare.
In Potere alle parole, l’obiettivo principale è educare il lettore a diventare un utilizzatore consapevole della lingua, capace di comprendere l’impatto delle proprie parole e di usarle in modo da promuovere il rispetto e l’inclusione.
In Grammamanti, invece, l’obiettivo è creare una comunità di “amanti della lingua”, persone che non solo la usano, ma che la coltivano e la rispettano, apprezzandone le sfumature, l’evoluzione e la capacità di adattarsi ai tempi. È un invito a vivere la lingua con amore e passione, non con rigidità.
In più, per quanto in questo secondo libro non si parli specificatamente di equità di genere, ci sono diversi spunti che potrebbero essere adottati per potenziare la nostra abilità personale nel parlare in modo ampio e così maggiormente equo.
Entriamo un po’ di più nel mondo di “Grammamanti”, cercando di individuare quelli che per me sono stati i temi chiave.
L’amore per la lingua
Il concetto di “grammamanti” si percepisce fin dalle prime battute del libro come opposto al termine “grammarnazi”. L’amore per la lingua deve essere coltivato con passione, ma senza ossessione per la rigidità e la purezza. La lingua va vista come un’entità viva, che merita rispetto e cura, non una prigione di regole da imporre.
Il termine “grammarnazi” evoca, al contrario, un’immagine di rigidità e controllo, dove la lingua è vista come un insieme di regole inviolabili da far rispettare con severità.
Le parole e le lingue non sono qualcosa di statico o immutabile, ma possono essere rappresentate come un organismo dinamico che vive attraverso le persone che comunicano, parlando e scrivendo.
Le parole di Vera Gheno riflettono questa visione appassionata e non possessiva della lingua: “Non si tratta di difendere la lingua, come se fosse un tesoro inestimabile che qualcuno vuole rubarci, ma di amarla, di farne parte, di viverla”.
Questa citazione cattura perfettamente l’essenza del “grammamante”: colui che non vede la lingua come qualcosa da proteggere con gelosia, ma come qualcosa da condividere e da vivere con gli altri.
La lingua, infatti, non dovrebbe essere un’arma con cui infliggere correzioni e rimproveri agli altri, ma piuttosto un mezzo per esprimere la propria creatività, per costruire ponti di comunicazione e per arricchire la propria vita e quella degli altri.
Sempre utilizzando le parole di Vera Gheno, “La lingua non è un monolite, è un mosaico di voci, di storie, di persone. E come ogni mosaico, è la varietà dei tasselli che la rende bella e preziosa”.
In queste parole, emerge l’idea che l’amore per la lingua si manifesti non nella sua purificazione o imposizione di standard, ma nel riconoscere e apprezzare la sua diversità e complessità.
Essere un “grammamante” significa così avere una visione ampia e aperta della lingua. Non ci si preoccupa di proteggere una presunta “purezza” linguistica, ma si accoglie con entusiasmo l’evoluzione e il cambiamento che la lingua subisce attraverso l’uso quotidiano.
La lingua non è una reliquia da conservare intatta, ma un organismo vivo che cresce e si trasforma insieme alla società e ai cambiamenti che la riguardano (uso dei social, linguaggi delle nuove generazioni, nuove popolazioni che convivono nello stesso territorio, nuovi temi che emergono, …)
L’amore per la lingua, come espresso dai “grammamanti”, non è un amore escludente, ma un amore generoso e che genera ampiezze e dimensioni dai confini che variano e abbracciano. È l’amore di chi riconosce che la bellezza della lingua risiede nella sua capacità di evolvere e di rispecchiare la ricchezza dell’esperienza umana.
“La lingua vive e cresce con noi”, scrive Gheno, e proprio in questo processo di crescita e trasformazione si trova il vero valore di essere un “grammamante”.
La lingua come organismo vivo e in evoluzione
Il secondo concetto che mi è rimasto impresso (ma che era presente anche nel suo precedente libro) riguarda l’idea che la lingua debba essere utilizzata come un mezzo per creare connessioni tra le persone, piuttosto che come uno strumento per escludere o giudicare.
Vera Gheno sottolinea come la lingua abbia il potere di unire le persone, facilitando la comunicazione e permettendo una comprensione reciproca. Tuttavia, quando la lingua viene usata in modo rigido e punitivo, essa perde questa funzione primaria e diventa un’arma di esclusione.
“La lingua è uno strumento di dialogo e comprensione. Se la usiamo per escludere, stiamo tradendo la sua essenza più profonda”, afferma Vera Gheno. Come darle torto?
Essere un “grammamante” significa dunque adottare un atteggiamento ampio, dove l’attenzione si sposta dal proprio mondo linguistico, chiuso e giudicante, alla comprensione e alla condivisione dei propri pensieri e delle proprie emozioni con il mondo.
Invece di concentrarsi su ciò che è sbagliato, i “grammamanti” cercano di comprendere il messaggio sottostante, apprezzando lo sforzo comunicativo al di là delle imperfezioni formali. Dei veri etnografi linguistici come direbbe Marianella Sclavi.
Vera Gheno ci invita a considerare la lingua come un ponte, o una finestra come l’avrebbe detto Marshall Rosenberg, non come un muro. “Ogni volta che correggiamo qualcuno, dovremmo chiederci: sto aiutando questa persona a esprimersi meglio, o sto solo mettendo in mostra la mia conoscenza?”.
Questa riflessione sposta il focus dall’atto di correzione in sé alla motivazione che lo guida. I “grammamanti” non correggono per il piacere di farlo, ma per aiutare l’altro a comunicare in modo più efficace, sempre nel rispetto del contesto e delle circostanze.
La correzione, in questa prospettiva, diventa un atto di cura e di attenzione verso l’altro, piuttosto che un gesto di superiorità. Come scrive Gheno: “La correzione può essere un atto d’amore, ma solo se fatta con gentilezza e con l’intenzione di aiutare l’altro a crescere, non di sminuirlo”.
In un mondo sempre più globale e interconnesso, è fondamentale adottare una visione della lingua che sia aperta e flessibile, capace di adattarsi alle esigenze comunicative di persone provenienti da “background” o meglio “forse” contesti diversi.
“Connettersi con gli altri significa accettare che non tutti parlano come noi, e che va bene così e che lo scopo è davvero comprendere il mondo possibile dell’altro e non quello che vogliamo capire noi dal nostro punto di vista personale.
La lingua può diventare così uno spazio condiviso, non un campo di battaglia”, scrive Vera Gheno, ricordandoci che la varietà linguistica è una ricchezza da valorizzare, non una minaccia da combattere.
In conclusione, bisogna allenare le persone a riflettere su come si possa usare la lingua per connettersi con gli altri, piuttosto che per tenerli a distanza. Essere un “grammamante” significa abbracciare questa visione della lingua come strumento di apertura e di dialogo, impegnandosi a costruire un mondo in cui la comunicazione sia aperta, accogliente e rispettosa di tutte le voci.
Dalla Tolleranza all’Accettazione
Un altro aspetto che trovo interessante è legato alla riflessione di Vera Gheno sui concetti di tolleranza, inclusione, e accettazione. Si tratta di tre termini che, pur collegati, rappresentano fasi diverse di un percorso di crescita sia personale che collettivo.
Tolleranza è vista come un primo possibile, ma molto giudicante, passo in questo percorso. Per Gheno, tollerare significa riconoscere l’esistenza dell’altro e delle sue differenze, ma in modo passivo, spesso con un’ombra di sopportazione.
Non è sufficiente tollerare per ampliare il mondo. Viene mantenuta una distanza tra le persone e non incoraggia una vera comprensione delle diversità. La si guarda da fuori, giudicandola in modo passivo e elitario.
L’inclusione, invece, rappresenta un piccolo progresso rispetto alla tolleranza. Qui, si fa un passo in avanti cercando di includere l’altro, di fare spazio alle diversità nel contesto preesistente. Tuttavia, Gheno sottolinea come anche l’inclusione possa essere limitante.
Includere è sempre limitante se non vi è una effettiva apertura mentale. L’inclusione autentica, per lei, non è semplicemente “aggiungere” qualcuno a un gruppo preesistente, ma richiede un cambiamento profondo nella struttura stessa del gruppo e nelle dinamiche di potere al suo interno.
Il gruppo cambia non appena entra “l’altro” e per questa ragione non è più inclusione, ma è novità, è rinnovamento dello stesso gruppo. Persone che cambiano grazie alla presenza del nuovo che viene inserito all’interno con curiosità.
Infine, Vera Gheno introduce il concetto di accettazione. Lo vede come la fase più avanzata e desiderabile. Accettare non è semplicemente tollerare o includere, ma è riconoscere pienamente l’altro, apprezzare le sue differenze e integrarle attivamente nella propria realtà.
L’accettazione implica un’azione consapevole e positiva, una scelta di apertura che arricchisce tutti i partecipanti. In un contesto linguistico, questo si traduce in un uso della lingua che non solo rispetta le diversità, ma che le celebra come parte integrante del tessuto sociale.
Attraverso questi tre concetti, Gheno ci invita a riflettere su come usiamo la lingua non solo come mezzo di comunicazione, ma come strumento per costruire una società più ampia, aperta e accogliente.
La lingua, infatti, ci tengo a ribadirlo, non deve essere un confine che separa, ma un ponte che unisce, capace di abbracciare le diversità e trasformarle in un’opportunità di crescita collettiva.
La lingua come espressione di identità e custode di memorie
Vera Gheno mi ha affascinato anche quando ha parlato del legame intrinseco tra lingua e identità e il ruolo della lingua come custode di storie e memorie.
La lingua è molto più di un semplice strumento di comunicazione; è una componente essenziale dell’identità personale e collettiva. Ogni parola, ogni scelta linguistica, è un riflesso del contesto culturale e delle esperienze di chi parla.
La lingua diventa, quindi, un mezzo attraverso cui l’individuo afferma la propria identità e comunica la propria appartenenza a un gruppo o a una cultura. Un po’ come quando eravamo giovani e per far parte del gruppo utilizzavamo il nostro “slang”.
Ma se ci pensiamo bene lo facciamo anche oggi quando utilizziamo termini specifici in contesti specifici per far riconoscerci “appartenenti”. Mi vengono in mente tutti quei termini aziendalesi, ricchi di inglesismi.
Vera Gheno sottolinea come la lingua rappresenti un modo per affermare il proprio posto nel mondo: “La lingua che scegliamo di usare ci definisce agli occhi degli altri, racconta chi siamo, da dove veniamo e quale posto occupiamo nella società.”
Questa riflessione mette in evidenza come ogni parola che usiamo sia carica di significato e sia legata alla nostra storia personale e collettiva.
Per quanto riguarda, invece, il legame con storie e memorie, Vera Gheno ribadisce un concetto per me importantissimo: la lingua è anche un potente custode delle storie e delle memorie di una comunità. Attraverso il linguaggio, le esperienze vissute, le tradizioni e le conoscenze vengono tramandate di generazione in generazione, preservando così la memoria collettiva.
Vera Gheno esprime questo concetto affermando che “La lingua è il contenitore delle storie di un popolo, uno scrigno in cui sono custoditi ricordi, esperienze e tradizioni che altrimenti andrebbero perduti.”
La lingua, quindi, non solo collega gli individui all’interno di una comunità, ma garantisce anche la continuità delle memorie storiche e culturali, fungendo da ponte tra passato, presente e futuro. In sintesi, la lingua è un elemento vitale che definisce chi siamo e cosa ci lega agli altri, ma è anche il mezzo attraverso cui le storie e le memorie delle comunità vengono conservate e trasmesse, mantenendo viva l’essenza stessa delle culture e delle identità collettive.
Il ruolo dei “grammamanti” nella società contemporanea
Chiudo questo elenco di riflessioni cercando di elaborare il ruolo che i “grammamanti” possono e devono assumere nella società odierna, in un contesto in cui la lingua continua a evolversi e riflettere i cambiamenti culturali e sociali.
Da un lato, hanno la responsabilità di promuovere un uso consapevole della lingua, incoraggiando una comunicazione che sia rispettosa e inclusiva. Adottare un approccio alla lingua che vada oltre la mera correttezza grammaticale, abbracciando anche il rispetto per la diversità linguistica e culturale.
La consapevolezza linguistica non deve limitarsi alla difesa delle regole, ma deve includere la sensibilità verso il contesto in cui si comunica e verso le persone con cui si interagisce. Vera Gheno sottolinea l’importanza di un uso attento della lingua:
“Essere consapevoli delle parole che scegliamo significa riconoscere il loro potere e la loro capacità di influenzare il mondo intorno a noi.”
Questo approccio si contrappone a quello di chi vede la lingua come un sistema statico e immutabile, da difendere rigidamente contro qualsiasi forma di cambiamento.
Un altro aspetto cruciale del ruolo dei “grammamanti” è il contrasto agli atteggiamenti di chiusura e conservatorismo linguistico, facendosi promotori di apertura e ampliamento del linguaggio. La lingua è un’entità viva, in continua evoluzione, e chi la ama dovrebbe essere aperto a questa trasformazione.
Vera Gheno, non a caso, critica apertamente l’idea di una lingua “pura” e immutabile: “La lingua non è un museo di regole da proteggere, ma un campo fertile in cui nuove parole e nuove forme espressive possono germogliare.”
Infine, i “grammamanti” devono impegnarsi a favorire l’ampliamento linguistico consapevole, promuovendo un linguaggio che rispetti e valorizzi le differenze e mantenga lo scopo di creare ponti tra persone.
Questo non significa abbandonare le regole o la correttezza sintattica o semantica. Piuttosto, è un invito riconoscere che la lingua può essere un potente strumento di trasformazione consapevole che facilita l’accettazione di tutte le persone e delle loro culture.
Vera Gheno conclude con una riflessione su questo punto: “Il vero amore per la lingua si misura nella capacità di accogliere la diversità e di fare della lingua uno strumento di connessione e non di esclusione.”
In sintesi, i “grammamanti” devono assumere un ruolo attivo nella società, promuovendo un uso della lingua che sia consapevole, rispettoso e inclusivo, e che allo stesso tempo sappia contrastare le tendenze conservatrici che ne limitano la naturale evoluzione.
Questo approccio permette di coltivare una lingua che non solo rispecchia la complessità del mondo contemporaneo, ma che contribuisce anche a costruire un futuro più aperto e connesso.
Cosa mi porto a casa
Come ogni articolo che si rispetti, provo a descrivere in sintesi cosa voglio trattenere da quanto scoperto grazie a Vera Gheno. Mi porto a casa una parola sola. Responsabilità.
Infatti, pensando al fatto che dobbiamo promuovere un futuro più aperto e connesso, mi scopro a sorridere pensando alla seconda parola. Connesso significa essere in connessione fisica, ma anche digitale.
Quanta responsabilità abbiamo per rendere questo mondo più ampio, integrato, aperto, connesso, sapendo che ogni contesto ha bisogno di sempre più attenzione a come ci esprimiamo?
Dobbiamo comprendere quel che realmente vogliamo esprimere attraverso ogni mezzo utilizzato. E se penso ad alcuni degli ultimi whatsapp che ho mandato a persone a cui voglio bene o a discussioni che ho fatto in presenza con persone che per me sono importanti … Mi accorgo di non essere ancora così responsabile delle parole che scelgo in taluni momenti.
È vero che le emozioni possono prendere il sopravvento, ma è anche vero che le parole lasciano delle ferite che possono anche rimarginarsi, ma che non spariscono. Possiamo magari considerarle come un Kintsugi, ma per farlo … dobbiamo trovare le giuste parole per tornare in relazione armonica con l’altro.
Come fare? Coltivando l’amore per le parole che diventa così anche amore per l’altro o l’altra e … per noi stessi.