Equals: come sarebbe un mondo senza emozioni?

Equals: come sarebbe un mondo senza emozioni?

Quanto sono importanti le emozioni per te?

Come ti aiutano nel tuo quotidiano? 

Cosa fa la differenza nel raggiungere obiettivi di lungo periodo?

Equals

Introduzione

L’articolo di oggi è stato ispirato da “Equals”, un film molto strano, particolare. Potrei anche arrischiarmi in un bello, perché, seppur toccando un tema tosto, mi ha trascinato con curiosità all’interno di un mondo altro, un luogo davvero lontano dalla mia zona di comfort.

Chi non vorrebbe vivere in una società che premia l’uguaglianza tra le persone? 

Equals parla di un luogo, una società, disegnata in modo sui generis. All’interno del “Collettivo”, il nome che hanno dato a questa identità sociale, ogni persona  può perfettamente sentirsi uguale alle altre. Non per aspetto fisico, perché tutti gli individui hanno tratti somatici diversi. Parlo dei loro usi e costumi e soprattutto del loro modo di gestire le emozioni.

Gli uguali si vestono tutti con colori molto sobri, bianco candido o altrimenti verde oliva. Nessun altro elemento è permesso. Anzi è necessario. Infatti, non c’è nessuna costrizione. Non c’è nessuna legge scritta che vieti in modo ufficiale questi elementi distintivi. Non sono ricercati, perché le persone non provano alcun sentimento e nessun desiderio verso nulla e, soprattutto, verso nessuno.

Il Collettivo ha un scopo nobile, quello di evitare conflitti, di debellare la violenza e di creare così un equilibrio di convivenza perfetto. Un mondo speciale dove le persone possano finalmente vivere in pace. Chiaramente, la natura, di cui conosciamo la forza ribelle, non rimane silente davanti a un così candido quadro e fa nascere una malattia (diciamo che dipende dai punti di vista😊), chiamata SOS, Switched On Syndrom.

Dal nome potrebbe effettivamente spaventare.  Si tratta infatti di una sindrome che risveglia antichi istinti, neurotrasmettitori, infondendo amore, passione, rabbia, depressione, paura … quelli debellati alla nascita del collettivo.

calma agitata

Mondo senza emozioni?

Bello no? Un mondo di persone uguali. Dove l’apparenza si riduce al minimo, dove le emozioni non fanno mai sfuggire di mano le situazioni. Nessuna guerra, nessun litigio. Rien, nada. Una società stabile, armonica, semplicemente perfetta.

Mentre vi descrivo questo scenario, dentro di me nasce un’ossimoro (figura retorica in cui due termini opposti vengono associati): un senso di calma agitata.

Probabilmente, sono solo di parte. Devo essere consapevole che se la nostra società fosse strutturata in questo modo, probabilmente, oggi, sarei già stato rinchiuso nel loro centro DEN, Defective Emotional Neuropathy,”centro di recupero per il deficit emozionale neuropatico”.😊 E qui scatta dentro di me una grande paura. Già mi tremano le gambe… 😊

Guardo quest’uguaglianza uniforme e penso alle vecchie scuole con i grembiuli tutti uguali. Un’esperienza che non ho vissuto e che dai racconti che ho potuto ascoltare, non mi è mancata. L’idea che mi porto dietro è di un’assoluta assenza di comprensione emozionale, giustificata dal fatto che così le persone possono essere abituate a vivere con normalità l’uguaglianza. Tutto ciò a costo di causare molta  sofferenza per mantenere la disciplina.

Sento dire però da tante parti che in quel periodo le cose andavano molto meglio. Il rispetto per l’autorità veniva mantenuto con la forza. Bacchettate, ciabattate, cinghiate e così urla, pianti, rancore, … Senza esclusione di colpi.

Chissà per quale ragione cambiamo punto di vista quando entriamo nella possibilità di esercitare violenza e di non subirla. Trovo interessante questo meccanismo. Anche coloro che sono stati costretti con la forza, odiando i propri custodi, quando diventano adulti, cambiano prospettiva. E diventano potenziali grandi utilizzatori del meccanismo che hanno a loro volta subito e per certi versi combattuto.

Gustav Jung

Il punto di vista della psicologia?

In psicologia, questo fatto non è nuovo. Ci sono diversi casi di persone che hanno vissuto atteggiamenti violenti in famiglia che a loro volta si sono scelti compagni di vita con cui attivano la stessa dinamica. La stessa cosa può succedere anche nelle famiglie dove uno dei due genitori è alcolista. Probabilmente, anche ciò che fa paura può essere ricercato, quando l’alternativa è scegliere quel che non conosciamo e non sappiamo gestire.

Tutto ciò si manifesta fino a quando non riusciamo (decidiamo?) a scegliere di vivere ricercando una felicità personale. Non parlo della ricerca dell’eldorado, che per me non è possibile. E anche le neuroscienze sembrano darmi ragione (non sarebbe utile alla sopravvivenza un appagamento totale). Sto parlando della capacità di leggere le nostre emozioni al fine di comprendere cosa ci  comunicano e scegliere sulla base di una maggiore consapevolezza personale, capace di rivelarci cosa sia davvero importante per noi.

Un giorno non felice non dice nulla, una litigata da sola non dice nulla, un mal di stomaco improvviso e isolato non dice nulla… Ma se guardandomi indietro (connettendo i puntini un po’ come direbbe zio Steve Jobs) ne vedessi più d’uno in sequenza, probabilmente mi accorgerei che c’è qualcosa che non funziona. E a quel punto potrei comprendere che posso scegliere altro per me. Altro che mi direzioni verso quel che credo più importante per me. Oppure, mi potrebbe far perseverare, perché ciò che sto facendo si rivela ancora più vicino a ciò che voglio davvero per me.

Se ci insegnassero a comprenderci, a diventare consapevoli (dove? forse a scuola, forse a casa, con l’esempio, …), probabilmente smetteremmo di covare rabbia e rancore. E scopriremmo che con un po’ di sforzo, rivolto verso noi stessi, potremmo ri-acquisire le redini delle nostre vite.

Sharingness

Come fare a mettere d’accordo così tante teste?

Sento sempre più persone parlare di un ritorno all’idea che sia importante far rispettare le regole, senza tener conto delle emozioni che ne derivano. Come se esistessero “solo” norme “giuste” per tutti. Ho capito che non è così. Non condividiamo nemmeno la  regola del non uccidere (tra l’altro, regola presente anche nei 10 comandamenti).

Tutti potremmo essere d’accordo sul concetto generale. Poi magari sentiamo che una tal persona ha ucciso un altro essere umano in casa e iniziamo ad avere dei dubbi. Forse non uccidere è una regola corretta in generale, ma diventa meno chiara in alcune specifiche situazioni. Le cose sono semplici solo in parte. Quindi possiamo dire che non lo sono 😊

Credo che un mondo fatto di regole in assenza di gestione delle emozioni non funzioni. Far eseguire regole senza condividere per prima le finalità non funziona così bene. A meno che non esista un processo di castrazione. Non fisica. Ma fisiologica. Un po’ come nel film “Equals”. Qualcuno potrebbe obiettare che oggi le persone non vengono più castrate come una volta. E questo credo che sia vero.

Oggi, per svariate ragioni (famiglie non più tradizionali, nuove tecnologie capaci di confondere grazie a un infinita ricchezza…), la castrazione avviene in modo differente. Avviene per eccesso di libertà. Siamo passati da regole ferree alla piena anomia come direbbe Durkheim (l’assenza di regole). Anche questo significa vivere in un mondo anestetizzato, bianco come quello descritto dal film.

Autorevolezza

Autorità piena, laissez-faire o autorevolezza?

Abbiamo visto che l’uso della sola autorità può non funzionare. Stiamo costatando che l’adozione di un sistema assolutamente libero non funziona. Ora, sarebbe utile capire cosa possa essere utile per uscire da “Equals” e tornare a vivere le emozioni e le regole senza farsi schiacciare né dalle une né dalle altre.

A me piace l’idea che l’autorevolezza possa essere la via maestra. Consiste nel lavorare su un processo di consapevolezza delle persone, siano esse giovani o diversamente giovani,come me. Smettere di farsi proteggere dal ruolo e imparare a costruire consenso. Più una persona comprende il senso delle cose che fa e più si comporta seguendo le regole interpretandole al meglio, anche dove le regole non fossero così chiare. L’obbligo da solo può guidare solo in ambienti stabili. Purtroppo o per fortuna oggi il mondo è molto più complesso e non ci saranno mai regole che sappiano dare ordine a qualunque cosa.

Significa, inoltre, essere esempio di tutto ciò che si chiede di fare. Trovavo sconcertante, a scuola, sentirmi redarguito da parte di un insegnante che per primo non era in grado di rispettare la regola. Oppure, quanto può far sorridere ascoltare una persona intimare (urlando) a qualcuno per cinque minuti di non urlare? Di esempi di incoerenze ce ne sono diversi.

Nell’autorevolezza la punizione è esclusa? Giammai.

Si tratta di una delle possibili scelte. E può essere efficacemente utilizzata in alcuni momenti per rompere alcune abitudini. Diventa però la miglior soluzione educativa quando viene accompagnata da un successivo momento di calma riflessiva capace di far navigare l’emozione e far comprendere il vero significato di quanto accaduto. Anche la punizione può così essere un grande assist alla nostra consapevolezza. Il problema è evitare che diventi uno sfogo e un meccanismo dovuto alla frustrazione di non riuscire a trasformare gli altri in noi stessi.

Conclusioni

Io credo nello sviluppo dell’autorevolezza. Credo che sia alla base di una leadership risonante, una leadership emozionale che può guidare il mondo verso un nuovo livello. Non so se troverò mai un partito (visto che ci sono state le elezioni abbiamo cinque lunghi anni per pensarci) che sappia emozionarmi per aver messo le proprie fondamenta su un terreno come questo. Spero nel profondo del mio cuore di trovarlo o di contribuire a farlo nascere.

Trovo difficile però essere coerenti. Perché significa essere pienamente consapevoli del proprio agire e dei suoi risultati. A me, personalmente, riesce impegnativo e voglio ringraziare i miei amici, colleghi, per l’attenzione con cui mi restituiscono feedback, dandomi l’opportunità di migliorare. Senza di loro nulla sarebbe possibile. E io sarei meno coerente.

L’autorevolezza può trasformare il nostro mondo in parte un po’ “Equals” in un mondo fatto di colori dove ciascuno può sentirsi protagonista nel rispettare e far rispettare le regole prescelte per un bene comune, dove le punizioni (o le sgridate) saranno solo una parte del processo educativo, dove le emozioni saranno la chiave per capire la distanza tra questo bene comune e il nostro personale agire.

Grazie genitori, insegnanti, manager per ogni contributo che saprete dare a questa mia riflessione.

#Connectance #LearningBySharing #IntelligenzaEmotiva

Fabio

 

 

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