Apprendere con leggerezza è possibile

Cosa è possibile fare per rendere più facile imparare?

Come differenziare le sfide sulla base delle capacità situazionali?

Come integrare i diversi talenti nell’apprendimento?

Intro

Chi mi legge sa quanto mi impegni per comprendere i meccanismi di apprendimento. Lo faccio sicuramente perché mi serve nella mia attività lavorativa. Ogni giorno disegno percorsi di apprendimento per adulti nelle aziende al fine di tirar fuori i loro talenti più o meno evidenti e scoprirne di nuovi.

È un lavoro che amo, perché mi fa sentire bene sentire l’emozione che provano quando percepiscono di aver aperto una porta nuova che fino a prima era chiusa. Vedo l’energia sui loro volti. È come se tornassero per qualche istante nuovamente bambini.

Credo però che non sia solo questo il motivo che mi rende così incuriosito e bramoso di leggere novità sul tema. Sono più probabilmente egoista. Voglio dimostrare che avrebbero potuto ottenere di più da me a scuola se mi avessero capito, compreso. Se non mi avessero costretto dentro le loro regole così asfittiche.

Non amo ricordare i periodi scolastici pre universitari. Mi sono sentito spesso inadeguato, incapace, debole rispetto a compagni all’apparenza simili a me, ma molto più capaci di studiare. Di apprendere. Di stare in quelle regole che mi facevano sentire piccolo e indifeso.

Se a questo aggiungete la mia conformazione fisica. A 13 anni ero alto come mio figlio a 10 (forse anche meno 😊). I miei coetanei erano già ben sviluppati e il senso di inadeguatezza mi faceva male. Dolore quasi fisico.

Daniela Lucangeli, se mi avesse avuto davanti, mi avrebbe forse potuto aiutare. Ma non c’era alcuna Daniela davanti a me. C’erano insegnanti che sapevano dire ai miei genitori che … Ero intelligente ma che non mi applicavo.

Eppure tempo dedicato allo studio ne mettevo, ma non riuscivo a concentrarmi, divagavo con la mente. Poi avevo paura del confronto e, quindi, di essere interrogato e giudicato sia dagli insegnanti che dai miei pari. E così quando uscivo per le interrogazioni non ero in grado di comunicare la mia preparazione.

Sembravo impreparato. Poi, all’università il mio mondo è cambiato. Ho scoperto che avevo delle potenzialità, che potevo fare la differenza con le mie idee, che ero in grado di scrivere e anche di parlare in pubblico.

Che cosa poteva essere cambiato?

Una gran botta di c… (fortuna!)

Daniela Lucangeli credo non descriverebbe in modo così colorito quel che mi è accaduto, ma più probabilmente cercherebbe di analizzare la situazione dal punto di vista dell’evoluzione della mia auto efficacia (termine coniato da Albert Bandura).

Quando sono entrato nella mia facoltà di Relazioni Pubbliche allo IULM di Milano, mi leccavo ancora le ferite passate, legate al mio non saper scrivere, alla mia incapacità di superare con audacia le interrogazioni. Per questa ragione, per quanto fossi curioso e felice di iniziare una nuova vita, avevo paura.

Paura di scontrarmi ancora una volta con i miei demoni. Non sapevo ancora cosa avrei voluto fare da grande. Avevo scelto questa facoltà solo perché mi sembrava che le materie fossero interessanti, ma non sapevo per nulla dove mi avrebbe condotto.

Poi, all’improvviso questa nebbia si è dileguata.

Ho iniziato a frequentare le lezioni e ho scoperto che mi appassionavano, leggevo e mi rimanevano facilmente in mente i contenuti. Poi, ho conosciuto Giampaolo Fabris, il nostro super docente di Sociologia dei consumi. Un vero guru dell’argomento (spero che il mio dolce ricordo ti arrivi lassù).

Le sue lezioni erano super interessanti, perché erano ricche di aneddoti e di storie che si trasformavano in apprendimenti e in concetti da applicare ad altri campi. Soprattutto, mi ricordo come fosse ieri i mercoledì di quel primo semestre. Ogni volta c’era una sorpresa ad aspettarci.

Il mercoledì, infatti, alle 10.30, Giampaolo Fabris portava a lezione in Aula Magna personaggi di spicco del business e dello spettacolo che ci regalavano la loro esperienza raccontandoci come avevano cominciato, cosa stavano facendo e quali sogni li avevano guidati.

Così, ho seguito Mariuccia Mandelli, Marco Columbro, Guido Barilla, Max Venier, … per dirne alcuni che erano all’epoca molto famosi. Al termine delle lezioni, potevamo intrattenerci con loro e porre domande e per quanto ancora un po’ timido, decisi che dovevo provarci e scoprii che …

Erano gentili e mi rispondevano con passione e felici di trovare qualche ragazzo curioso di sapere cosa li avesse spinti, aiutati a scoprire che fossero sulla strada giusta. L’emozione che mi lasciavano era grande perché tramite le loro parole capivo che facessero un lavoro che amavano. Dovevo trovarlo anche io.

Stavo iniziando a scoprire che esisteva un mondo dopo. Qualcosa che poteva farmi avere voglia di studiare, approfondire e applicare le competenze che con gli esami stavo acquisendo. Eppure, ancora non avevo svoltato. Non avevo ancora superato nessun esame. Aiuto!

La svolta

Me lo ricordo come fosse ieri. Stavo studiando tanto. Eppure non mi sentivo affaticato. Avevo letto il libro di Consumi almeno 3 volte. Lo ricordavo abbastanza bene. Mi trovavo in difficoltà solo nel memorizzare i punti elenco. Me li ricordavo come concetti, ma non riuscivo a memorizzare bene le definizioni ufficiali.

La cosa non mi tranquillizzava, perché, invece, tanti miei compagni e molte mie compagne sapevano questi punti elenco benissimo. A tutto ciò si aggiungeva un ulteriore fatto. La prima parte dell’esame era scritto e poi chi voleva poteva perfezionare il voto con l’orale.

Crocette? No! Domande aperte dove dovevamo rispondere in modo completo, esaustivo e pertinente. Bene. Ricordo come fosse ieri l’uscita da casa la mattina presto, treno delle 7.30 da Bergamo per Milano. Guardai mia mamma negli occhi e le dissi per la prima volta:

“Ho studiato bene, mi sono preparato, quel che potevo l’ho fatto. Ora vado e spero di riuscire a dimostrarlo anche durante il compito”.

Parlavo a lei (che tra l’altro era preoccupata più di me, ma per lei le mie performance scolastiche non sono mai state una passeggiata 😊), ma, in realtà, credo parlassi a me stesso. Ero davvero sicuro di aver fatto tutto quel che potevo in quel momento e mi era pure piaciuto. Dovevo tentare.

Così, feci. Risposi a tutte le domande. Alcune volte mi ricordavo addirittura l’elenco ufficiale delle voci da inserire per rispondere. Altre volte, scrissi delle perifrasi. Conoscevo bene il concetto, ma non mi ricordavo la definizione. Consegnai il compito e … Incrociai le dita.

Non potete immaginare la botta di fattore C che mi capitò a distanza di una settimana. Arrivai a Milano di buonora. Ero pronto per il mio secondo esame: Sociologia. Me la stavo facendo sotto, perché era solo orale e per quanto mi fossi preparato era un po’ meno pratico dei sociologia dei consumi. E mi piaceva di meno.

Comprendevo bene i concetti, ma come sempre avevo difficoltà nella memorizzazione delle frasi che andavano secondo me apprese a memoria. O, almeno, così capivo sentendo i miei compagni ripetere. La botta di C arrivò in quel momento e cambiò il mio corso di studi.

O così voglio credere oggi facendo questa After Action Review della mia vita da studente.

Mentre mi stavo avvicinando all’aula dove ci avrebbero interrogato, ho sentito la voce di una compagna dire:

“Sono usciti i risultati dei compiti di Sociologia dei consumi!!!!! Ho preso 25!!!!”

A quel punto grande dilemma. Vado o non vado a vedermeli? Vedendo i miei compagni più stretti andarci, mi accodai senza pensarci e feci un piano di scale (mobili) con una paura fottuta dentro. Non mi ricordo chi me lo disse, ma qualcuno urlò: “Siamo passati! Io ho preso x e tu Fabio hai preso 27!”.

“Minchia … 27!!!! Che sballo!!!!!!” Il mio lato siculo esce in questi frangenti. Dentro di me, in quel preciso istante, è cambiato qualcosa. Sono tornato al piano dove avrei fatto l’esame di Sociologia, ma non ero più io. Sentivo che l’avrei passato e che sarebbe andato tutto bene. E così fu. Presi 26 ed ero al settimo cielo.

Due esami nello stesso giorno superati. Forse avevo trovato davvero la mia strada. Fabio, nella mia immagine mentale, non era più quello di prima, si vedeva fiero, felice, contento, curioso. In sintesi, percepivo di poter imparare tutto quello che mi chiedevano. Eppure, erano andati bene solo 2 esami.

Ma fu così che anche gli esami più complessi, per me erano diventati fattibili. Magari, mi chiedevano un po’ di impegno in più, ma tutto si poteva fare, anzi sentivo di poterlo fare. E tutto era diventato finalmente leggero.

Cinque lezioni leggere sull’emozione di apprendere

Ho condiviso quel che mi è capitato, perché mi è venuto in mente proprio in questi giorni, mentre stavo leggendo il libro di Daniela Lucangeli: “Cinque lezioni leggere sull’emozione di apprendere”. All’interno dei questo libro ci porta in modo semplice e naturale a discutere del ruolo dell’emozione nell’apprendimento.

Intanto, vediamo chi è Daniela Lucangeli, l’autrice: Professore universitario di Psicologia dello Sviluppo a Padova e presidente dell’Associazione Nazionale per gli Insegnanti Specializzati (CNIS) –  e da tempo promuove in rete la diffusione di contenuti scientifici relativi alla didattica nelle scuole.

Nei suoi studi, si pone l’obiettivo di proporre una nuova didattica che tenga conto di ciascun bambino nella sua unicità razionale ed emotiva. Un bambino come un adulto prova emozioni e se le porta dietro mentre  impara. I processi di apprendimento devono tenerne conto. Ma ancora oggi non è così.

“Se un bambino impara con gioia,

la lezione si inciderà nella mente insieme alla gioia.

Nella sua memoria resterà traccia dell’emozione positiva

che gli dirà: – Ti fa bene, continua a cercare!”

Daniela Lucangeli

All’interno del libro, ho ritrovato me stesso e le mie vicissitudini. Le mie debolezze, ma anche le mie scoperte potrebbero essere citate all’interno di ciascuna delle cinque lezioni. Non perché i miei vecchi insegnanti fossero preparati sul tema. Anzi.

Il motivo per cui mi ci sono ritrovato è perché con me (come con tante altre persone) i miei mentori scolastici non hanno saputo trovare un modo per accendere il fuoco della mia curiosità facendomi sentire capito e compreso come essere umano che magari aveva bisogno di un altro metodo di supporto.

Comprendo che sia difficile differenziare gli approcci per ciascun bambino quando in classe si hanno 20/25 bambini o studenti. Ma in molti casi non ho visto nemmeno il rammarico di non poter trovare soluzioni. Eravamo noi bambini a essere sbagliati perché non imparavamo come imparavano gli altri.

La colpa era mia perché ero fantasioso. Dovevo cambiare e non esserlo. Oggi, sono felice di non aver smesso di sognare, di fantasticare e di ideare. So quando è meglio non farlo e ho imparato a modularmi. Ma ho rischiato di perdere questa mia caratteristica a causa di un sistema che porta tutti verso la media.

Magari sbaglio, forse sono troppo duro. Ma ho sofferto io e chi spesso decide nella scuola non ha sofferto come me gli anni che dovrebbero essere tra i più belli della vita. So quanto è stata dura per me e conosco diverse persone che come me hanno avuto la stessa (brutta) esperienza.

Per questa ragione, sono riconoscente alla Professoressa Lucangeli. Anche se sembra impossibile razionalmente, leggere il suo libro mi ha fatto rivivere in modo diverso i miei ricordi, anche quelli più dolorosi.

Non ero io sbagliato, non era la mia mente fallata. Ero solo diverso. E il sistema non era in grado di gestire la mia diversità. Perché ve lo dico con tale sicurezza?

Give me five: un nuovo modo di vedere la scuola

Lezione 1 – La scuola dell’abbraccio

Innanzitutto, perché nella mia scuola non c’era alcun contatto emozionale (alle elementari in realtà, sì, ma mancava la parte di metodo e di apprendimento tecnico, per cui probabilmente questa mancanza, ha acuito il mio problema nei cicli scolastici successivi).

Come direbbe la Professoressa Lucangeli, bisogna educare la mente insieme al cuore, altrimenti non si educa affatto. La neocorteccia, sede dei nostri processi cognitivi, è connessa con il nostro cervello mammifero (limbico) e grazie a questa connessione, sappiamo che le funzioni cognitive e le emozioni sono interdipendenti.

Un abbraccio, una mano sulla spalla, uno sguardo tenero e dolce, per questa ragione, possono aiutare i ragazzi e le ragazze a superare gli errori senza sentirsi inadeguati. In termini tecnici, si parla di “warm cognition” (trad: cognizione calda): ogni ricordo pensato si porta dietro le emozioni vissute.

Quindi, quando il cervello impara e sperimenta al contempo emozioni piacevoli crea una “traccia emozionale” che renderà piacevole il ricordo di quell’apprendimento. Come esseri umani, siamo portati a ripetere ciò che ci procura benessere, come del resto anche gli animali.

Viceversa, se imparare ci porta a sperimentare emozioni spiacevoli, come ansia o paura, allora quella situazione verrà memorizzata dentro di noi come una situazione di “pericolo”: così in situazioni simili, si attiveranno risposte di allerta al posto di quelle piacevoli.

Si innesca in questo modo un corto circuito emozionale: l’ansia ostacola l’apprendimento, generando paura e senso di inadeguatezza. Ecco perché mi sento riabilitato, perché quel senso di inadeguatezza non era mio, era legato a come mi stavano facendo apprendere le cose.

Cosa ci suggeriscono gli studi per evitarlo?

  • Trasformare l’errore in un mezzo per apprendere
  • Aiutare a tirar fuori il coraggio e la fiducia
  • Accendere gli “interruttori emozionali” che generano emozioni piacevoli durante l’apprendimento:
    • L’abbraccio, le carezze, lo sguardo connesso
    • Il sorriso e l’allegria dell’insegnante (mi viene in mente una collega che ha creato un bellissimo blog chiamata la maestra col naso rosso)
    • Le diverse voci che servono per tirar fuori dall’altro le migliori risposte (aria, acqua, terra e fuoco)

Lezione 2 – Sbagliando si impara

La seconda lezione si concentra sull’importanza di imparare a sbagliare. Qualche settimana fa ho insegnato durante un corso di formazione per adulti a giocolare con le 3 palline. La prima lezione che bisogna imparare è che per imparare bisogna accettare che la palla cada e fa parte del processo di apprendimento.

Ogni cosa che impariamo  richiede costanza e impegno e l’errore fa parte di questo processo. Far pace con l’errore aiuta a migliorare velocemente e produce emozioni piacevoli. Credo che anche gli insegnanti e docenti lo sappiamo, razionalmente.

Perché allora finiamo per trasferire all’altro che l’errore non sa da fare, generando paura dell’errore?

Per quanto sembri strano, quando il bambino sbaglia, ma anche quando un adulto sbaglia nascono subito alcuni quesiti:

  • Di chi è la colpa se si fa un errore? Dell’insegnante o del bambino? Del trainer o del partecipante?
  • C’è un problema o una patologia nel bambino? C’è un problema o non è proprio portato per quella cosa?

Anche se l’errore è una preziosa fonte di informazioni, la connotazione che gli diamo è fortemente negativa. Pensiamo invece a come sarebbe la scuola se ci domandassimo in quale fasi del processo di apprendimento sia il bambino che ha trovato difficoltà o cosa blocchi il processo di assimilazione o quali strategie si possano utilizzare per superare gli ostacoli incontrati. Sarebbe bello no?

Trovare il colpevole, ammesso che ci sia, non cambia la situazione, produrre domande potenti che cambino il processo di insegnamento ci aiuta invece a ideare nuove vie per creare ambienti di apprendimento sani e piacevoli. Sembra quasi che gli insegnanti debbano a  loro modo essere un po’ coach/psicologi/counselor nel loro lavoro.

Questo dovrebbe insegnare la scuola ai propri insegnanti e ai genitori dei loro alunni, stimolando alcuni punti chiave:

  • Si può valutare per misurare e non per giudicare.
  • Si può esporre il bambino a un ambiente adatto alle sue esigenze di apprendimento.
  • Si può facilitare il compito rendendolo più semplice e quindi fattibile.
  • Si può insegnare strategie utili per affrontare la difficoltà, senza che essa rimanga un ostacolo insormontabile.
  • Si può “Allearsi” con l’allievo e non con l’errore.

Lezione 3 – Verso il successo scolastico

L’emozione che mi ha contraddistinto durante tutto il periodo universitario è stata l’aspettativa di imparare cose nuove. Ogni volta che entravo nel magico mondo di una nuova materia mi sentivo elettrizzato. Avevo sete di scoprire qualcosa che più avanti avrei utilizzato in qualche modo.

Come facevo a esserne certo? Perché i docenti (la maggior parte di quelli più importanti per il nostro corso di studi dell’epoca) ce lo trasferivano con la loro passione durante le lezioni. Era bello sentirsi ricchi di energia.

Oggi, sono consapevole di cosa mi stesse attraversando: neurotrasmettitori quali dopamina, ossitocina, endorfina e serotonina. All’epoca, lo sapevo solo per esperienza diretta, ma non ero consapevole del perché. Wow! E tutto ciò perché mi era sparita la paura e con sé il senso di impotenza che ne derivava.

Infatti, anche la professoressa Lucangeli sottolinea, nella sua terza lezione, quanto sia importante per favorire il successo scolastico che prima di tutto la scuola investa sulla motivazione nel bambino.

Le emozioni spiacevoli come paura o ansia da prestazione ingolfano la memoria di lavoro e rendono faticoso l’apprendimento. Al contrario le emozioni piacevoli come la gratificazione e la gioia portano le informazioni a un livello più profondo di elaborazione.

Le informazioni, così, non rimangono in superficie come nozioni, ma si integrano a un livello più profondo con le conoscenze e generano delle competenze che possiamo spenderci nel tempo. Un conto è sapere logicamente come si sta in equilibrio pedalando su una bicicletta, un conto è vivere l’atto di pedalare.

Il primo si disperde, mentre il secondo si mantiene e diventa parte di noi, della nostra identità.

Quindi promuovere il successo scolastico (o lavorativo perché non cambia poi così tanto) significa sostenere le emozioni piacevoli con azioni specifiche:

  • Bisogna promuovere il senso di autoefficacia: il bambino, quando riesce in qualcosa di ben tarato per lui (giusta sfida), aumenta la sua motivazione a ripetere l’esperienza dell’apprendimento
  • Per ottenere questo scopo, serve dosare il compito affinché le paure non assalgano il bambino e la sfida non diventi così troppo difficile rispetto alle capacità del bambino (così evitiamo di produrre un senso di impotenza) ma allo stesso tempo nemmeno troppo facile perché non subentri il senso di noia
  • Bisogna spostare l’attenzione dalle abilità (non sono capace) alle strategie (individuare il modo giusto per riuscirci)
  • Bisogna ricordare che il cervello è plastico: con l’impegno e la costanza si possono creare nuove competenze che rendono meno faticoso l’apprendimento, accrescendo le aree cerebrali coinvolte nell’uso di quella competenza

Lezione 4 – Stare male a scuola

La quarta lezione di Daniela Lucangeli, mi ricorda, invece, che alla fine sono stato nel mio piccolo fortunato. A livello di sensazioni personali, ho sempre saputo che forse non ero il solo a soffrire durante il percorso scolastico. Ma leggere i dati di oggi, mi allarma. Siamo di fronte a una pandemia di dolore.

Nel 2018 l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha segnalato un preoccupante aumento dei disturbi depressivi in età evolutiva. Umore instabile e disturbi del comportamento hanno forti ripercussioni sui processi di apprendimento a scuola.

In questo momento storico, come descritto dalla Professoressa Lucangeli, serve un ponte fra scuola e psicologia evolutiva. È cruciale che ogni insegnante, docente, maestro comprenda cosa fa stare bene o cosa crea disagio a un bambino. E noi formatori dovremmo fare la stessa cosa con gli adulti, ovviamente.

Si tratta solo del primo passo per sostenerlo nella suo percorso di crescita, ma è un passo incredibilmente potente che deve guidare la scuola nelle future scelte di approccio. Non solo per potenziare la capacità di apprendere, ma anche per migliorare le relazioni, la socialità e l’acquisizione delle competenze emozionali.

Per investire sul benessere a scuola, possiamo quindi:

  • evitare un eccessivo carico cognitivo che richieda l’assimilazione di troppe informazioni (io personalmente imparo poco alla volta e ho bisogno di pezzi non troppo lunghi per poter sedimentare)
  • promuovere l’elaborazione creativa delle informazioni più che la loro memorizzazione (meno male! Io facevo un sacco fatica)
  • facilitare i processi di auto regolazione emotiva nei bambini affinché le emozioni di ansia, paura e stress siano controbilanciate dalla fiducia, il senso di sfida e l’interesse (solo che per insegnare un tema così complesso gli insegnanti e gli educatori debbono imparare loro per primi ad autoregolare loro stessi e non è così semplice quanto sembri)

Lezione 5 – Tutti bravi con i numeri

All’interno della sua ultima lezione, la Professoressa Daniela Lucangeli parla di un caso specifico di intelligenza e di come la scuola non sia in grado, a oggi, di portarla avanti con leggerezza e rendendola alleata durante tutta la vita.

Stiamo parlando dell’intelligenza numerica, che dal punto di vista evolutivo è la più antica (nasce prima di quella linguistica). La struttura di questo tipo di intelligenza è molto differente da quella linguistica. La sua nascita è legata al nostro senso di sopravvivenza (chi l’avrebbe detto?).

Per esempio, sapere velocemente quanti nemici abbiamo di fronte ci può aiutare a determinare la nostre scelte successive. Conoscere quante pecore ho può aiutarci a evitare di perderle. La matematica è una capacità che ci aiuta da molto prima che si formassero le lingue.

Per questa ragione, questa abilità dovrebbe far parte della vita di tutti gli individui. In sostanza, essendo un’abilità così ben cablata all’interno del nostro cervello, tutti i bambini dovrebbero nel corso del percorso scolastico apprenderla bene e amarla per la sua estrema utilità.

Eppure, sembra che la matematica non riesca ad attecchire nelle menti dei giovani virgulti quanto in realtà potrebbe. Molti bambini e molte bambine perdono questa capacità (e così la passione) perché probabilmente, come ci spiega Daniela Lucangeli, viene spiegata in modo non adeguato.

Per quel che sono riuscito io a comprendere la matematica viene spiegata come una lingua, ma non è una lingua e segue logiche completamente diverse. Per comprendere meglio il problema, bisogna sapere che le lettere dell’alfabeto hanno una natura fonologica, mentre i numeri invece hanno una natura visuo-spaziale.

Per esempio, la posizione del numero all’interno di una cifra determina il valore di un numero – nel caso di 123 e 321 il valore del 3 è diverso in base alla sua posizione, mentre la posizione di una lettera non ne cambia la natura intrinseca.

Quindi, insegnare questa materia dovrebbe seguire un percorso di apprendimento diverso. Per semplificare il ragionamento, possiamo utilizzare l’esempio di imparare a nuotare. Posso raccontare la teoria del nuoto, come dovrebbero essere fatte le bracciate, come funziona la respirazione.

Posso anche verificare le competenze tecniche apprese tramite un questionario, ma … la vera esperienza che mi insegna a nuotare è nuotare. Senza la trasformazione della teoria in azione, alcune competenze non possono in nessun modo entrare dentro di noi. E così è la matematica.

Ovviamente, anche le lingue possono avere giovamento da un passaggio alla parte pratica (non a caso impariamo a parlare prima di conoscere la grammatica).

Abituare i bambini all’uso delle abilità numeriche significa quindi abituarli a fare calcoli mentali, senza ridurre l’apprendimento alla semplice assimilazione delle regole cognitive che possono, invece, confondere e rendere arida la materia.

Cosa mi porto a casa

Il libro di Daniela Lucangeli mi ha permesso di ripensare alla mia carriera di studente e di riabilitare le mie esperienze passate rendendole meno dure. Egoisticamente, mi sento sollevato, perché sono ancor più consapevole che la scuola non era adatta al mio modo di apprendere e non ero per questo sbagliato.

Sogno un mondo scolastico che riesca più di quanto non succeda oggi a inglobare tutti i bambini e le bambine in un processo di apprendimento che sia olistico e comprenda per davvero le loro relative diversità. Vedremmo molti più bambini impegnarsi e riuscire.

Di esempi attuali, per fortuna, ne ho diversi. Purtroppo, sono ancora pochi rispetto a quanti ne servirebbero per cambiare l’intero sistema scuola. Sono altresì certo che qualcosa stia cambiando. Forse, anche a causa dei cambiamenti che stiamo vivendo come società.

I bambini oggi accedono alle tecnologie precocemente. Questo aspetto sta cambiando la loro struttura cerebrale. La quantità di informazioni che elaborano sono molte di più di quelle che elaboravo io alla loro età. Tutto ciò ha una conseguenza. Si annoiano molto più facilmente e fanno più fatica a stare fermi.

Quindi, oggi, la scuola oggi deve porsi l’obiettivo di generare un contesto sano di apprendimento dove il benessere e le emozioni piacevoli possano abbracciare gli studenti. Con questo scopo in testa potrà trovare nuove forme di apprendimento che tengano conto di questa nuova situazione.

Tanto non si può tornare indietro, l’evoluzione continuerà imperterrita e l’unico modo per far fronte al problema della gestione di questi nuovi bambini la scuola potrà e dovrà investire sulle uniche persone che davvero possono fare la differenza: gli insegnanti. E nel mio mondo sui trainer o formatori che dir si voglia.

Come vi dicevo nella mia intro, una parte del mio interesse verso questa materia è lavorativo, ma tanto è anche egoistico. Sono frutto di una scuola che mi ha fatto male e leggere questi argomenti, soprattutto quando affrontati con cura e passione mi fa rinascere. Così è stato con questo libro.

Grazie Daniela Lucangeli per le emozioni che hai regalato!

https://www.ibs.it/cinque-lezioni-leggere-sull-emozione-libro-daniela-lucangeli/e/9788859020097?lgw_code=1122-B9788859020097&gclid=CjwKCAiAmuKbBhA2EiwAxQnt7zkmxQOf2oCoLManX1MchrFRDepieYQKGgjZe-OaJrhQH_uxWT3NZRoChyUQAvD_BwE

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *